Shodo - La via della Scrittura


L'uso del termine occidentale "calligrafia" (bella scrittura) non riesce ad esprimere correttamente il significato della pratica legata alla scrittura in Estremo Oriente.

Nella lingua cinese anticamente veniva usato semplicemente il termine shu shiche significa "scrittura", al pari di come noi ci esprimiamo quando parliamo di pittura, musica, danza, ecc. In seguito esso venne abbinato a un altro carattere che diede vita al termine composto shufa shufache significa "arte della scrittura":

ahu shu – scrivere   fa fa - metodo, arte di fare

In Giappone per la medesima pratica viene invece usato il termine shodō shodō che, tradotto, assume il significato di "via della scrittura":

sho  sho – scrittura dō dō - via, percorso

Il carattere dōviene usato in numerose occasioni per contraddistinguere la pratica di un'arte, che richiede un impegno costante e che in diversi modi può assumere le caratteristiche di un "percorso" che conduce, tramite un perfezionamento tecnico, a un affinamento interiore dell'individuo. 

Dō dōè anche il carattere che indica il dao (tao), la via, cioè il processo di mutamento e di divenire di tutte le cose su cui si basa la filosofia taoista.
Questo termine, in Giappone, venne applicato, soprattutto dal XIX secolo, a numerose arti tradizionali in conseguenza agli influssi che ebbe in particolare il buddhismo sulla loro pratica, intesa come "percorso": kendō ("scherma"), judō , kyūdō ("tiro con l'arco"), chadō  (anche definita cha no yu "cerimonia del tè"), ecc.


La via, o l'arte della scrittura, costituisce in ogni caso un insieme composto da:
nozioni e conoscenze storiche, stilistiche, formali, ecc. 
un processo d'apprendimento e di applicazione di tecniche.

La pratica permette e favorisce:

l'espressione degli stati d'animo, dei sentimenti,
l'affinamento della sensibilità e il perfezionamento di sé, 
la collaborazione e l'instaurarsi di corrette relazioni sociali e di lavoro.

Un ritratto del "cuore"

L'azione del pennello converte in segni i gesti del calligrafo. Questi segni possono essere decisi o incerti, veloci o lenti, sottili o spessi, ma contengono sempre una forza che tradizionalmente viene definita qi/ki (traducibile approssimativamente in "energia vitale").

Questa forza circola nei singoli segni e nei rapporti che s'instaurano tra di loro. Scrivendo un carattere si fornisce la rappresentazione di un'idea, ma tracciandolo in calligrafia si tende a trasmettere soprattutto la relazione che s'instaura tra il del calligrafo e la circolazione del che il carattere possiede. Volendo esprimere in altri termini questo concetto si può dire che l'istantaneità della calligrafia permette di registrare un ritratto del "cuore" del calligrafo.

Sulla carta viene tracciato un percorso che sgorga dalla sua interiorità; la composizione che ne risulta, basata su rapporti proporzionali, ritmi, equilibri, pieni e vuoti, ecc. equivale alla registrazione di un sismografo dell'animo umano.

La posizione di scrittura 
Durante la scrittura il corpo deve essere il più libero possibile e deve partecipare interamente all'esecuzione; a tale scopo la posizione che si assume è molto importante.

Nella posizione seduta di scrittura il foglio, posto di fronte al calligrafo, deve trovarsi alla giusta altezza (poco al di sotto dell'ombelico) per evitare di dover sollevare eccessivamente il braccio che non deve appoggiare sul piano di scrittura. 
Il busto deve stare eretto, ma non essere rigido, per favorire una regolare respirazione.

Quando si eseguono calligrafie su fogli di piccole o medie dimensioni in genere si lavora al tavolo, seduti per terra (in "seiza" o a gambe incrociate), su una sedia, oppure stando in piedi.

Le calligrafie di grandi dimensioni vengono generalmente eseguite stando in piedi con il foglio posato su un tavolo o sul pavimento; è soprattutto in queste occasioni che interviene un'intera partecipazione del corpo nel gesto esecutivo.

L'impugnatura del pennello
Il pennello va usato sempre in posizione verticale, badando costantemente al controllo della posizione della sua punta. 
Secondo la tecnica tradizionale il manico va impugnato circa a 4 cm dall'attaccatura delle setole, o più in alto, con il pollice e l'indice contrapposti; quindi si posano il dito medio sotto l'indice e le altre due dita dalla parte del pollice.

Il pennello non va stretto in modo rigido, ma deve essere tenuto con fermezza per permettere all'intero corpo, tramite il braccio, di trasmettergli i propri impulsi. La mano libera va appoggiata sulla carta per situare esattamente la posizione del piano su cui si scrive e contribuire a modulare la pressione da imprimere alla punta del pennello.

I tratti: le "entrate" e le "uscite"


In calligrafia un singolo segno, o tratto, eseguito dal pennello è composto da tre parti o momenti esecutivi:

• un'entrata (ingresso) costituita dal momento in cui il pennello viene abbassato e entra in contatto con la carta; è l'operazione che determina il profilo che avrà l'inizio del tratto;

• uno sviluppo costituito dallo spostamento del pennello verso la direzione d'arrivo; con esso vengono definiti lo spessore del tratto, la sua regolarità, il dosaggio d'inchiostratura in relazione alla velocità esecutiva;

• un'uscita consistente nello staccarsi del pennello dalla carta (una sorta di entrata a rovescio) determina il profilo dell'estremità finale del tratto.

Grossomodo esistono due tipi di entrate e di uscite, quelle nascoste (o indirette) e quelle dirette.

Le prime sono volte a nascondere la traccia che lascia la punta del pennello quando tocca la carta e, nella forma di scrittura kaishu/kaisho kaisho, si eseguono appoggiandolo in direzione opposta a quella del tracciato che dovrà seguire il pennello (questo vale per le entrate, nel caso delle uscite l'operazione viene invertita). 
Secondo la tecnica adottata ne conseguono dei profili arrotondati (usati nella forma di scrittura zhuan/tensho tensho ) o più angolati (nel kaishu/ kaisho kaishoe nel lishu/reisho reisho).

Le entrate dirette vengono invece applicate prevalentemente nelle forme di scrittura corsiva o corrente e lasciano una traccia abbastanza evidente della punta del pennello.

L'esecuzione delle varie parti di un carattere deve rispettare un preciso ordine compositivo, che in buona parte è determinato da motivi pratici legati al percorso che deve seguire il pennello nell'esecuzione.

Esistono diverse classificazioni dei tratti che compongono i caratteri; qui ne viene presentata una serie che li raggruppa in otto tipi fondamentali con le loro varianti, per un totale di 38 tratti suddivisi in:

• punti (dian) (ce / soku) ,

• tratti ascendenti da sinistra verso destra (tiao) (ce /saku) 

• tratti orizzontali (heng) (ce / roku) 

• tratti verticali (shu) (nu / do ) 

• tratti obliqui che scendono curvi verso sinistra (pie) (lue/ryaku ) 

• tratti obliqui che scendono ispessendosi verso destra e terminano affilandosi lungo l'orizzontale (na) (zhe/taku) 

• tratti uncinati (gou) (yo/ teki)

• tratti spezzati (zhe).

Il carattere yong /naga(i) ei(eterno) è composto da tutti e otto i tratti fondamentali e sovente figura nei manuali per principianti. 


Carattere Yong scritto dal monaco-calligrafo giapponese contemporaneo Tanaka Jomyō con uno stile personale e piuttosto libero nella forma di scrittura kaisho. 

La copiatura e l'apprendimento della tecnica
L'arte di maneggiare il pennello è uno dei segreti della calligrafia; costituisce il sapere che si eredita dai propri maestri e verrà tramandato agli allievi. Non si tratta però di una conoscenza intellettuale, ma di una pratica costituita da un insieme di gesti e movimenti precisi.

Il primo esercizio con cui si confronta un principiante è la copiatura. Questa fase iniziale è fondamentale e serve a:

- apprendere la tecnica,
- prendere coscienza delle proprie caratteristich

- entrare nel ritmo esecutivo del modello, coglierne lo spirito per riprodurlo senza perdersi nell'imitazione.
L'esercizio di copiatura ( rinsho rinsho) si differenzia in livelli progressivi:
keirin(keirin) copia esatta di tratti, spazi, proporzioni, ritmi, ecc;
hairin(hairin) copia a memoria, cercando di rispettare la forma esteriore e lo stile del modello;
irin(irin) copia finalizzata a rispettare le caratteristiche stilistiche di un modello piuttosto che la sua forma esteriore. 
All'esercizio di copiatura rinshorinsho fa seguito uno stadio più avanzato e complesso che consiste nel: 
- 
 (hōsho), l' applicazione di uno stile con caratteri diversi da quelli del modello.

La scelta del testo

Che cosa si scrive in calligrafia? Una semplice parola, un aforisma, una breve riflessione personale, una poesia, un estratto da un testo classico, una preghiera, ecc. Ciò che maggiormente conta è la trasmissione dell'emozione del calligrafo, la sua interpretazione e la risultante traduzione formale del senso più profondo del testo adottato.

Shodō - Gli strumenti 
Secondo la tradizione i principali strumenti usati in calligrafia sono:
- il pennello 
- la barretta d'inchiostro
- la pietra per sciogliere e contenere l'inchiostro
la carta

Essi vengono generalmente definiti i "Quattro tesori" del calligrafo perché il loro impiego è indispensabile e corrispondono agli strumenti usati nella pittura tradizionale cinese. Da ciò deriva una stretta unione tra le due arti che vennero frequentemente praticate in parallelo da molti artisti.

Il pennello fude(bi / fude)

Esistono numerose varietà di pennelli, che devono rispondere ad esigenze diverse: la forma di scrittura prescelta, le dimensioni dei caratteri da eseguire, lo stile, l'abilità e le preferenze del calligrafo.  Le loro caratteristiche variano in base alla forma, ai materiali e alle dimensioni. Una particolare importanza è attribuita ai tipi di setole di cui sono composti, che si possono grosso modo suddividere in:
- setole rigide kougou
kōgō (cavallo, daino, tasso, volpe, coniglio)
- setole morbide 
nangounangō (capra)
- setole miste rigide-morbide kengou
kengō.

La differente proporzione tra la lunghezza e il diametro delle setole può incidere parecchio sui risultati che si desidera ottenere. Ad esempio quelli che si presentano con una punta piuttosto corta sono adatti alla scrittura nella forma lishu /(lishu/reisho), mentre quelli con la punta allungata e il diametro piuttosto ridotto sono prevalentemente usati per la scrittura nella forma (caoshu/sōsho). La leggenda attribuisce a Meng Tian, verso il 250 a.C., l'invenzione del pennello in pelo di cammello. È probabile che il suo fu piuttosto un adattamento o un affinamento di uno strumento già esistente. L'archeologia infatti ci mostra che già nel secondo millennio a.C. erano presenti strumenti in peli animali montati su bastoncini, sicuramente usati per decorare le ceramiche. Nel corso dei secoli la produzione di pennelli si affinò parecchio raggiungendo una complessità e una cura notevoli negli esemplari di qualità superiore.

Per ottenere una corretta elasticità, permettere un forte assorbimento dell'inchiostro e un suo ben dosato rilascio sulla carta i migliori pennelli sono composti da più strati concentrici di peli di lunghezza differente, disposti attorno a un nucleo centrale che funge da serbatoio. Questa caratteristica, che li differenzia dai pennelli usati in pittura in Occidente, permette una differenziata modulazione del tratto e la scrittura di più caratteri senza dover ricorrere continuamente all'assorbimento di nuovo inchiostro.



pennelli

L'inchiostro sumi( mo / sumi)

Secondo la tradizione l'inchiostro da scrittura è quasi esclusivamente nero e si presenta in forma solida, pressato in barrette.

Già presente in epoca Shang, l'inchiostro nero ha subito una lunga evoluzione tecnica. Testimonianze ricavate da scavi archeologici documentano l'esistenza di barrette d'inchiostro solido, costituito da nerofumo e colla, all'epoca dei Regni Combattenti. La sua fabbricazione viene perfezionata in epoca Jin, parallelamente alla diffusione dell'uso della carta in calligrafia. Da allora ne vennero prodotte numerose qualità, secondo altrettante materie prime e varianti tecniche. Generalmente è composto da una miscela di fuliggine di legno resinoso o olio vegetale (pino, olio di colza, ecc.), colla animale, sostanze vegetali profumate (muschio, canfora, ecc.) e numerosi additivi finalizzati a fornire sfumature cromatiche particolari.

La sua qualità varia principalmente in base alla purezza e alla raffinazione della materia prima colorante. La colorazione nera dell'inchiostro può variare in numerose tonalità e riflessi differenti tendenti a colorazioni cromatiche più o meno fredde o calde. 
La sua preparazione per l'applicazione avviene sciogliendolo tramite lo strofinamento nell'acqua che viene versata nella pietra-calamaio.

La pietra per inchiostro suzuri(yan / suzuri)

I più antichi "calamai" che conosciamo datano della dinastia Han e consistono in piatti di bronzo, sovente sostenuti da tre piedini e dotati di coperchio. Di epoca Jin se ne conservano varietà di forma analoga, ma in argilla. In seguito, di pari passo con l'evoluzione dell'industria dell'inchiostro, in epoca Tang si giunse all'affermarsi della pietra come materia prima più adatta. Tra le diverse varietà impiegate quelle che si dimostrarono più efficaci furono le due varietà di scisto di She e di Duan, ancor oggi tra le più celebri e ricercate.

La pietra per inchiostro può attualmente presentarsi in forme piuttosto diversificate ma, generalmente, è caratterizzata da una parte incavata più profondamente che funge da serbatoio e da una un poco più rialzata usata per strofinare la barretta d'inchiostro. Numerose pietre sono sagomate e decorate da raffigurazioni naturalistiche che, secondo la lavorazione e il progetto possono costituire vere e proprie opere d'arte.


 

La carta kami(zhi / kami)

L'invenzione della carta risale a un'epoca non precisata. Generalmente la si fa coincidere con la fine della dinastia degli Han occidentali  (206 a.C. - 8 d.C.

Secondo la tradizione sarebbe stata inventata da Cai Lun, funzionario alla corte degli Han orientali, nel 107 d. C. Si può presumere che in realtà la sua TU più che altro un'innovazione del prodotto basata sull'impiego di nuove materie prime consistenti in fibre vegetali, in sostituzione delle fibre tessili ricavate dagli scarti tessili precedentemente usate.
Solo verso il IV secolo la carta entrò in uso come supporto di scrittura, sostituendo le tavolette di legno, le lamine di bambù e la seta.
Ben presto ne vennero prodotte numerose varietà che si differenziarono per colore, qualità, assorbenza, grammatura e texture.

La materia prima usata nella sua produzione consiste in fibre vegetali derivanti dal legno, dalla corteccia o dai fusti di piante erbacee (canapa, gelso, bambù, paglia di riso, ecc.).

La scelta della carta è molto importante e contribuisce a determinare l'ottenimento di effetti calligrafici specifici, adattandosi in modo differenziato alla stesura dell'inchiostro.

Altri strumenti in uso nella calligrafia

Oltre ai "Quattro tesori" del calligrafo vengono usati diversi altri strumenti, tra i quali i seguenti:

fermacarta  bunchinbunchin);

panno di feltro shitajiki(shitajiki) su cui appoggiare il foglio durante la scrittura;

poggiapennelli fudeokifudeoki);

contenitore per l'acqua suitekisuiteki); piccolo paravento paraspruzzi

stuoiette portapennelli fudemaki(fudemaki).

Come si può intuire, nonostante questi oggetti debbano rispondere a precise necessità pratiche, la loro funzione può essere assolta da altri strumenti non specificamente prodotti per l'uso in calligrafia. Ad esempio il contenitore per l'acqua può essere sostituito da un bicchiere o da una tazza, oppure un ciottolo o qualsiasi oggetto sufficientemente pesante può fungere da fermacarta.

Ciò ha fatto sì che questi strumenti, nel tempo, siano stati prodotti con minori limitazioni alla creatività, nelle forme più varie, spesso molto elaborate e riccamente decorate. Nella loro produzione si sono sbizzarriti artigiani e artisti, dando vita a pezzi anche di grande valore, rivolti più al mercato collezionistico che a coloro che praticano la calligrafia.

Il montaggio e la fruizione

Le calligrafie per essere mostrate in ambito privato o pubblico devono essere "montate" in modo adeguato. Tradizionalmente sono previste due forme di fruizione estetica:
- il rotolo orizzontale makimono(makimono) da svolgere appoggiato in piano e riavvolgere gradualmente durante l'osservazione,
- il rotolo verticale kakejiku(kakejiku) da appendere alla parete.

In entrambi i casi il sottile foglio di carta dev'essere incollato su un supporto di seta o di carta per ottenere una sufficiente resistenza all'usura e per togliere le ondulazioni che si producono durante la stesura dell'inchiostro. In seguito il foglio incollato viene montato in una sorta di passe-partout di tela che permette di mantenere l'avvolgibilità dell'insieme.

Esistono diversi tipi codificati di montaggio che si adattano ai vari formati della carta. La scelta del motivo decorativo, dei colori e della proporzione della cornice devono essere ben considerati per non entrare in contrasto con il carattere dell'opera che accoglie. L'opera montata, pur mantenendo la funzione di complemento all'arredamento, ha prevalentemente un ruolo comunicativo che si esplica nella trasmissione di messaggi legati a particolari occasioni. La sua esposizione avviene durante periodi limitati, anche molto brevi, e può essere in relazione alla visita di particolari ospiti, a precisi momenti dei cicli stagionali o a ricorrenze da sottolineare con messaggi scritti caratterizzati anche da complessi riferimenti simbolici.

In Giappone la sua collocazione privilegiata è in una particolare nicchia tokonoma(tokonoma) del locale in cui si accolgono gli ospiti, abbinata ad esempio a una composizione floreale, pure essa in sintonia con la circostanza a cui è destinata la calligrafia.

Shodō - La carta

Uno dei quattro tesori del Calligrafo: la carta 

La carta (Giapponese: Kami, Cinese: Zhi) usata nell'arte della calligrafia non è un semplice supporto amorfo su cui si stende l'inchiostro, ma è un importante elemento con cui si deve imparare a dialogare. È una materia che si potrebbe quasi definire "viva", dotata di caratteristiche particolari. Bisogna conoscerne l'assorbenza, apprezzarne il colore, la consistenza e la texture per abbinarvi l'inchiostro più adatto. La sua superficie partecipa alla definizione dell'opera in modo determinante; basti considerare il fatto che costituisce tutto lo spazio non occupato dall'inchiostro e che quindi è la sua texture superficiale a corrispondere al "vuoto" che nasce dal "pieno" del tratto creato dallo scorrere del pennello. Anche se in molte occasioni prima di iniziare una calligrafia non si bada molto alle sue caratteristiche, dai primi tocchi di pennello ci si accorge quale sia la sua rispondenza e quali siano le sue qualità.

Un'adeguata scelta della carta è quindi molto importante per ottenere l'effetto calligrafico desiderato, ma anche per far sì che l'opera finita sia coerente con la circostanza per cui è stata eseguita.

Forse potrà risultare un po' eccessivo includere tra i piaceri derivanti dalla pratica della calligrafia quello prodotto dal profumo dell'inchiostro, dall'ammirazione dell'armoniosa forma di un pennello, dalla delicata sensazione prodotta al tatto da una carta artigianale o ancora dalla vista della sua struttura osservata in controluce. Eppure anche questo può corrispondere a una forma di rispetto nei confronti della competenza dell'artigiano che li ha prodotti e del lavoro che esso ha "prestato".

L'origine della carta risale in Cina a un'epoca non ben precisata, probabilmente coincidente con la fine degli Han occidentali (Xi Han206 a.C.-8 d.C.). Sembra che nel 105 d.C. Tsai Lun, ministro dell'agricoltura, per la sua fabbricazione suggerì l'uso del "china grass", del gelso e del bambù. Solo nel corso del IV secolo però sarebbe stata applicata come supporto in calligrafia, per sostituire le tavolette di legno e le lamine di bambù.

La sua fabbricazione nei secoli seguenti passò in Corea e da lì venne esportata in Giappone. Nel 751 (?) la tecnica di produzione arrivò a Samarcanda tramite alcuni prigionieri cinesi e si diffuse rapidamente in tutta l'Asia Minore. Gli Arabi ne estesero la fabbricazione all'Africa del nord e ai loro possedimenti in Spagna dove, nel 1154 a Dativa, sorse una cartiera. Nel XIII secolo l'industria della carta giunse in Italia (Fabriano, 1276) e in gran parte dell'Europa.

Tra le qualità di carta più rinomate prodotte attualmente in Cina, vi sono le Xuanzhi (carta di Xuan) provenienti dalla regione di Xuanchen nel sud-est dell'Anhui, in particolare a Jingxian.

La carta in Giappone

La carta giapponese di produzione artigianale viene genericamente chiamata washi 和紙Secondo la tradizione la sua tecnica di produzione venne importata nel paese nel 610 dal monaco coreano Donchō. La sua diffusione fu rapida e fino all'epoca Muromachi (1392-1573) venne prodotta da piccole aziende familiari che ne elaborarono un grande numero di varietà, tramandandone l'arte della fabbricazione di generazione in generazione. Si calcola che già in epoca Nara (710-794) vi fossero almeno 200 tipi diversi di carta.

In epoca Heian (794-1192) si giunse alla piena maestria nella sua produzione, intensificandone le differenze nella texture, nell'assorbenza, nel colore, ecc.

Dal XII secolo l'aumento costante della richiesta per gli impieghi più disparati fece crescere ulteriormente la produzione e fece si che nelle diverse regioni ne vennero sviluppate delle varietà specifiche adatte a usi particolari: calligrafia, pittura, decorazione (lanterne), componenti architettoniche (shōji), stampa, suppellettili (ventagli, ombrelli), imballaggi, ecc.

Se in calligrafia prevalentemente vengono usate carte "bianche", ne esistono anche di colorate, a tinte naturali diverse, o con l'inclusione di elementi vegetali (foglie e fiori secchi) e minerali (oro, mica, ecc.) adatte ad occasioni particolari. I procedimenti di fabbricazione di queste varietà sono gelosamente custodite dai loro produttori e spesso i loro prezzi raggiungono cifre considerevoli.

Attualmente la tradizione della washi 和紙 si perpetua soprattutto nei villaggi del nord dell'isola principale (Honshū) e nelle prefetture di Nagano, Ehime, Gifu, Fukuoka, Tottori, Yamanashi, Fukui, Kōchi, Saitama e Shimane.
Seguendo la tradizione, la 
washi viene prodotta con le fibre della corteccia di diversi alberi come ad esempio il gelso kōzo (carta Choshi楮紙), il ganpi (carta Hishi 斐紙 o Ganpishi 雁皮紙), il Mayumi (carta Danshi 檀紙), il mitsumata (carta Mitsumatagami三椏紙oppure con fibre di canapa asa (carta Mashi  麻紙)  o fibre di riso (carta Warashi).

La corrente carta da calligrafia per esercizi, di fattura industriale, in Giappone viene generalmente prodotta con legno d'importazione (Canada e Siberia). Il suo costo naturalmente è molto inferiore rispetto a quello della carta artigianale, ma ciò vale anche per la sua qualità!

 

Shodō - Le origini
Nel corso del tempo la scrittura cinese (scrittura Han kanji) ha subito un'evoluzione che l'ha portata a far sì che ogni carattere possa essere scritto in forme diverse.

Questi cambiamenti si sono estesi dalla sua origine fino alla fine della dinastia dei Jin occidentali xi Jin(xi Jin, 265-316 d.C.), dando vita alle cinque differenti forme di scrittura shotai(shuti/shotai) tuttora praticate.

Nelle epoche seguenti i cambiamenti furono sostanzialmente di carattere stilistico, legati alle diverse interpretazioni creative, personali, dei calligrafi.

Secondo recenti ritrovamenti le origini della scrittura cinese sarebbero testimoniate da incisioni, consistenti in disegni stilizzati (occhi, finestre, numerali, ecc.), su gusci di tartaruga ritrovati in tombe risalenti al 6600-6200 a.C. a Jiahu nella provincia di Henan.

Le prime solide testimonianze di protopittogrammi consistono in disegni stilizzati su frammenti di terracotta, che rappresentano esseri umani, animali, oggetti e elementi naturali, risalenti al periodo neolitico, più precisamente alle culture di Yangshao Yangshao( 6000-3000 a.C.)

Quelli che possiamo invece considerare i primi veri caratteri arcaici di scrittura, incisi su frammenti di ceramica, datano dal III millennio e appartengono alla cultura di Longshan longshan. Queste iscrizioni, che nel loro insieme mostrano già l'esistenza di un sistema di scrittura maturo, hanno un seguito in quelle risalenti al periodo delle dinastie Shang shang( XVI XI secolo a.C.) e Zhou zhou( XI sec.- 256 a.C.).

 

 

Guwen / Kobun Kobun(scrittura antica o arcaica)

I primi generi di scrittura (appartenenti alla TenshoZhuanshu / Tensho) diffusi fino all'affermarsi della Dazhuan dazhuan(vedi sotto) vengono generalmente raggruppati nel genere Guwen guwen/kobunsia che si tratti di scritte su metallo, ossa o carapaci.

 

Jiaguwen / Kōkotsubun Jiaguwen(scritte a carattere divinatorio su carapaci e su ossa animali)

Costituita da un grande numero di caratteri incisi su jiaguwen e su bronzi ritrovati in altari, la scrittura delle epoche Shang e Zhou si caratterizza per una moltitudine di varianti locali. Attualmente sono stati rinvenuti più di 100.000 jiaguwen; da essi sono stati catalogati circa 5000 caratteri diversi, la metà dei quali sono stati decifrati e tradotti in caratteri "moderni". Si può considerare che le strutture fondamentali della scrittura cinese, testimoniate dai jiaguwen, siano giunte a una stabilizzazione formale verso l'epoca dei Regni Combattenti Zhan Guo Ce(Zhan Guo 453-256 a. C. ).

Usata per più di un millennio, la scrittura su jiaguwen si caratterizza come poco uniforme; la struttura dei caratteri e le loro proporzioni non sono strettamente definite; un carattere può presentarsi secondo diverse varianti. In un unico testo si possono trovare caratteri di dimensioni diverse in disposizioni e allineamenti irregolari. I tratti che compongono i caratteri sono lineari e di spessore uniforme. Molte scritte risultano essere state tracciate a pennello prima di venire incise e in seguito riempite con colore rosso.

Tra le varie tipologie di caratteri, i pittogrammi mantengono una forma che li rende molto evocativi e allusivi rispetto all'oggetto che rappresentano, in sintesi dall'aspetto particolarmente espressivo.

I testi, caratterizzati da una certa ripetitività, sono di diversa lunghezza e concernono prevalentemente pratiche divinatorie, ma anche riti o registrazioni di avvenimenti.







Jinwen / Kinbun Jinwen / Kinbun (scritte su metallo)

Sempre risalenti alle epoche Shang e Zhou (diffuse tra XIV-VIII sec. a.C.) sono state rinvenute numerose scritte su bronzi usati a scopo rituale, in particolare vasi e campane.

Per gran parte appartenente al genere Guwen, la scrittura Jinwen, soprattutto agli inizi mantiene molte caratteristiche della Jiaguwen ma gradualmente subisce un'evoluzione che la porta ad essere più arrotondata e di struttura più compatta, avvicinandola alla Dazhuan.

Le ultime manifestazioni di scrittura su bronzo, contraddistinte da un maggior ordine e allineamento dei caratteri, sono tracciate nel genere Dazhuan.

 

Jinwen


Iscrizione su un recipiente di tipo "ding" (epoca Zhou Occidentali, XI secolo)

 

 

Dazhuan/Daiten Dazhuan/Daiten (Zhuan maggiore)

Documentata da numerose scritte su metallo, ma anche da scritte in lacca su tavolette di giada, iscrizioni su seta, ceramica, tavolette di bambù e sigilli. È la più antica incisa su pietra (epoca dei Regni Combattenti). I caratteri sono scritti in modo piuttosto complesso, mantenendo una serie di varianti stilistiche locali. Nelle sue forme più tarde diventa più uniforme, con caratteri più semplici e di facile lettura.

In seguito alla riforma della scrittura, e l'adozione del Zhuan minore Shouten(vedi sotto), per motivi di classificazione si raggruppano in essa anche tutte le scritture precedenti.

La distinzione tra Zhuan maggiore e Zhuan minore avvenne sotto gli Han hanquando si trattò di definire la scrittura ufficiale messa a punto sotto l'Imperatore Qin Shihuangdi Qin Shihuangdiche aveva ordinato al proprio Primo Ministro Li Si Li Si(?-208 a.C.) la riorganizzazione e l'unificazione della scrittura.

 


 



 



Xiaozhuan / Shōten Xiaozhuan / Shōten(Zhuan minore)

Frutto di un'evoluzione del Zhuan maggiore, avvenuta nel periodo precedente il regno Qin qin(221-206 a.C.), il Zhuan minore assunse una forma definitiva sotto il regno di Wang Zheng dei Qin, il futuro Shihuangdi Qin Shihuangdiche si attribuì il titolo di imperatore dopo aver unificato la Cina. Nell'ambito della riforma politica e amministrativa che impose al paese per favorire lo sviluppo della cultura e facilitare i compiti amministrativi, Shihuangdi ordinò al proprio Primo Ministro Li Si Li Si di standardizzare e unificare la scrittura. Da quest'opera derivarono la nascita ufficiale del Zhuan minore e il decreto d'abbandono delle varietà di scrittura Zhuan maggiore fino ad allora in uso.

La nuova scrittura unificata risultò meno complessa e di più agevole esecuzione e per la prima volta nella storia della scrittura cinese i caratteri vennero tracciati in uno spazio regolare (rettangolo verticale) indipendentemente dal numero di tratti da cui erano composti. Questo la caratterizza come la prima forma di scrittura veramente regolare.

Esistono diversi stili di scrittura Zhuan minore, caratteristici delle scuole succedutesi nel tempo, fino al suo abbandono come forma di scrittura comune. Ciò avvenne all'epoca della dinastia Han han, quando venne sostituita da altre forme di scrittura, rimanendo riservata ad occasioni particolarmente solenni. Il suo uso in seguito rimase legato quasi esclusivamente all'ambito calligrafico e in epoca Tang tangvenne studiato e ne vennero elaborati nuovi stili (in particolare va ricordato quello di Li Yangbing Li Yangbing, attivo VIII sec.) che servirono da modello a numerosi calligrafi dei secoli seguenti.


Le cinque forme goShotai

tensho–› scrittura Zhuan (o scrittura sigillare) (Zhuanshu/Tensho)
reisho–› scrittura degli scrivani (o dei funzionari) (Lishu/Reisho) 
gyōsho–› scrittura corrente (o semicorsiva) (Xingshu/Gyōsho) 
sōsho–› scrittura corsiva (Caoshu/Sōsho) 
kaisho–› scrittura normale (Kaishu/Kaisho)

 

 

Fonti :SHODO.IT