L'uso del termine occidentale "calligrafia" (bella scrittura) non riesce ad esprimere correttamente il significato della pratica legata alla scrittura in Estremo Oriente.
Nella lingua cinese anticamente veniva usato semplicemente il termine shu che significa "scrittura", al pari di come noi ci esprimiamo quando parliamo di pittura, musica, danza, ecc. In seguito esso venne abbinato a un altro carattere che diede vita al termine composto shufa che significa "arte della scrittura":
shu – scrivere fa - metodo, arte di fare
In Giappone per la medesima pratica viene invece usato il termine shodō che, tradotto, assume il significato di "via della scrittura":
sho – scrittura dō - via, percorso
Il carattere viene usato in numerose occasioni per contraddistinguere la pratica di un'arte, che richiede un impegno costante e che
in diversi modi può assumere le caratteristiche di un "percorso" che conduce, tramite un perfezionamento tecnico, a un affinamento interiore dell'individuo.
Dō è anche il carattere che indica il dao (tao), la via, cioè il processo di mutamento e di divenire di tutte le cose su
cui si basa la filosofia taoista.
Questo termine, in Giappone, venne applicato, soprattutto dal XIX secolo, a numerose arti tradizionali in conseguenza agli influssi che ebbe in particolare il buddhismo sulla loro pratica, intesa
come "percorso": kendō ("scherma"), judō , kyūdō ("tiro
con l'arco"), chadō (anche definita cha no yu "cerimonia del tè"), ecc.
La via, o l'arte della scrittura, costituisce in ogni caso un
insieme composto da:
nozioni e conoscenze storiche, stilistiche, formali, ecc.
un processo
d'apprendimento e di applicazione di tecniche.
La pratica permette e favorisce:
l'espressione degli stati d'animo, dei
sentimenti,
l'affinamento della sensibilità e il perfezionamento di sé,
la collaborazione e
l'instaurarsi di corrette relazioni sociali e di lavoro.
L'azione del pennello converte in segni i gesti del calligrafo. Questi segni possono essere decisi o incerti, veloci o lenti, sottili o spessi, ma contengono sempre una forza che tradizionalmente viene definita qi/ki (traducibile approssimativamente in "energia vitale").
Questa forza circola nei singoli segni e nei rapporti che s'instaurano tra di loro. Scrivendo un carattere si fornisce la rappresentazione di un'idea, ma tracciandolo in calligrafia si tende a trasmettere soprattutto la relazione che s'instaura tra il del calligrafo e la circolazione del che il carattere possiede. Volendo esprimere in altri termini questo concetto si può dire che l'istantaneità della calligrafia permette di registrare un ritratto del "cuore" del calligrafo.
Sulla carta viene tracciato un percorso che sgorga dalla sua interiorità; la composizione che ne risulta, basata su rapporti proporzionali, ritmi, equilibri, pieni e vuoti, ecc. equivale alla registrazione di un sismografo dell'animo umano.
Nella posizione seduta di scrittura il foglio, posto di fronte al calligrafo, deve trovarsi alla giusta altezza (poco al di sotto dell'ombelico) per evitare di dover sollevare eccessivamente il
braccio che non deve appoggiare sul piano di scrittura.
Il busto deve stare eretto, ma non essere rigido, per favorire una regolare respirazione.
Quando si eseguono calligrafie su fogli di piccole o medie dimensioni in genere si lavora al tavolo, seduti per terra (in "seiza" o a gambe incrociate), su una sedia, oppure stando in piedi.
Le calligrafie di grandi dimensioni vengono generalmente eseguite stando in piedi con il foglio posato su un tavolo o sul pavimento; è soprattutto in queste occasioni che interviene un'intera partecipazione del corpo nel gesto esecutivo.
Il pennello non va stretto in modo rigido, ma deve essere tenuto con fermezza per permettere all'intero corpo, tramite il braccio, di trasmettergli i propri impulsi. La mano libera va appoggiata sulla carta per situare esattamente la posizione del piano su cui si scrive e contribuire a modulare la pressione da imprimere alla punta del pennello.
I tratti: le "entrate" e le "uscite"
In calligrafia un singolo segno, o tratto, eseguito dal pennello è composto da tre parti o momenti esecutivi:
• un'entrata (ingresso) costituita dal momento in cui il pennello viene abbassato e entra in contatto con la carta; è l'operazione che determina il profilo che avrà l'inizio del tratto;
• uno sviluppo costituito dallo spostamento del pennello verso la direzione d'arrivo; con esso vengono definiti lo spessore del tratto, la sua regolarità, il dosaggio d'inchiostratura in relazione alla velocità esecutiva;
• un'uscita consistente nello staccarsi del pennello dalla carta (una sorta di entrata a rovescio) determina il profilo dell'estremità finale del tratto.
Grossomodo esistono due tipi di entrate e di uscite, quelle nascoste (o indirette) e quelle dirette.
Le prime sono volte a nascondere la traccia che lascia la punta del pennello quando tocca la carta
e, nella forma di scrittura kaishu/kaisho , si eseguono appoggiandolo in direzione opposta a quella del tracciato che dovrà seguire il pennello (questo
vale per le entrate, nel caso delle uscite l'operazione viene invertita).
Secondo la tecnica adottata ne conseguono dei profili arrotondati (usati nella forma di scrittura zhuan/tensho ) o più
angolati (nel kaishu/ kaisho e nel
lishu/reisho ).
Le entrate dirette vengono invece applicate prevalentemente nelle forme di scrittura corsiva o corrente e lasciano una traccia abbastanza evidente della punta del pennello.
L'esecuzione delle varie parti di un carattere deve rispettare un preciso ordine compositivo, che in buona parte è determinato da motivi pratici legati al percorso che deve seguire il pennello nell'esecuzione.
Esistono diverse classificazioni dei tratti che compongono i caratteri; qui ne viene presentata una serie che li raggruppa in otto tipi fondamentali con le loro varianti, per un totale di 38 tratti suddivisi in:
• punti (dian) (ce / soku) ,
• tratti ascendenti da sinistra verso destra (tiao) (ce /saku)
• tratti orizzontali (heng) (ce / roku)
• tratti verticali (shu) (nu / do )
• tratti obliqui che scendono curvi verso sinistra (pie) (lue/ryaku )
• tratti obliqui che scendono ispessendosi verso destra e terminano affilandosi lungo l'orizzontale (na) (zhe/taku)
• tratti uncinati (gou) (yo/ teki)
• tratti spezzati (zhe).
Il carattere yong /naga(i) (eterno) è composto da tutti e otto i tratti fondamentali e sovente figura nei manuali per
principianti.
Carattere Yong scritto dal
monaco-calligrafo giapponese contemporaneo Tanaka Jomyō con uno stile personale e piuttosto libero nella forma di scrittura kaisho.
Il primo esercizio con cui si confronta un principiante è la copiatura. Questa fase iniziale è fondamentale e serve a:
- apprendere la tecnica,
- prendere coscienza delle proprie caratteristich
- entrare nel ritmo esecutivo del modello, coglierne lo spirito per riprodurlo senza perdersi
nell'imitazione.
L'esercizio di copiatura ( rinsho) si differenzia in livelli progressivi:
- (keirin) copia esatta di tratti, spazi, proporzioni, ritmi, ecc;
- (hairin) copia a memoria, cercando di rispettare la forma esteriore e lo stile del modello;
- (irin)
copia finalizzata a rispettare le caratteristiche stilistiche di un modello piuttosto che la sua forma esteriore.
All'esercizio di copiatura rinsho fa seguito uno stadio più avanzato e complesso che consiste nel:
- (hōsho), l'
applicazione di uno stile con caratteri diversi da quelli del modello.
Che cosa si scrive in calligrafia? Una semplice parola, un aforisma, una breve riflessione personale, una poesia, un estratto da un testo classico, una preghiera, ecc. Ciò che maggiormente conta è la trasmissione dell'emozione del calligrafo, la sua interpretazione e la risultante traduzione formale del senso più profondo del testo adottato.
Essi vengono generalmente definiti i "Quattro tesori" del calligrafo perché il loro impiego è indispensabile e corrispondono agli strumenti usati nella pittura tradizionale cinese. Da ciò deriva una stretta unione tra le due arti che vennero frequentemente praticate in parallelo da molti artisti.
Esistono numerose varietà di pennelli, che devono rispondere ad esigenze diverse: la forma di scrittura
prescelta, le dimensioni dei caratteri da eseguire, lo stile, l'abilità e le preferenze del calligrafo. Le loro caratteristiche variano in base alla forma, ai materiali e alle
dimensioni. Una particolare importanza è attribuita ai tipi di setole di cui sono composti, che si possono grosso modo suddividere in:
- setole rigide kōgō (cavallo, daino, tasso, volpe, coniglio)
- setole morbide nangō (capra)
- setole miste rigide-morbide kengō.
La differente proporzione tra la lunghezza e il diametro delle setole può incidere parecchio sui risultati che si desidera ottenere. Ad esempio quelli che si presentano con una punta piuttosto corta sono adatti alla scrittura nella forma (lishu/reisho), mentre quelli con la punta allungata e il diametro piuttosto ridotto sono prevalentemente usati per la scrittura nella forma (caoshu/sōsho). La leggenda attribuisce a Meng Tian, verso il 250 a.C., l'invenzione del pennello in pelo di cammello. È probabile che il suo fu piuttosto un adattamento o un affinamento di uno strumento già esistente. L'archeologia infatti ci mostra che già nel secondo millennio a.C. erano presenti strumenti in peli animali montati su bastoncini, sicuramente usati per decorare le ceramiche. Nel corso dei secoli la produzione di pennelli si affinò parecchio raggiungendo una complessità e una cura notevoli negli esemplari di qualità superiore.
Per ottenere una corretta elasticità, permettere un forte assorbimento dell'inchiostro e un suo ben dosato rilascio sulla carta i migliori pennelli sono composti da più strati concentrici di peli
di lunghezza differente, disposti attorno a un nucleo centrale che funge da serbatoio. Questa caratteristica, che li differenzia dai pennelli usati in pittura in Occidente, permette una
differenziata modulazione del tratto e la scrittura di più caratteri senza dover ricorrere continuamente all'assorbimento di nuovo inchiostro.
Secondo la tradizione l'inchiostro da scrittura è quasi esclusivamente nero e si presenta in forma solida, pressato in barrette.
Già presente in epoca Shang, l'inchiostro nero ha subito una lunga evoluzione tecnica. Testimonianze ricavate da scavi archeologici documentano l'esistenza di barrette d'inchiostro solido, costituito da nerofumo e colla, all'epoca dei Regni Combattenti. La sua fabbricazione viene perfezionata in epoca Jin, parallelamente alla diffusione dell'uso della carta in calligrafia. Da allora ne vennero prodotte numerose qualità, secondo altrettante materie prime e varianti tecniche. Generalmente è composto da una miscela di fuliggine di legno resinoso o olio vegetale (pino, olio di colza, ecc.), colla animale, sostanze vegetali profumate (muschio, canfora, ecc.) e numerosi additivi finalizzati a fornire sfumature cromatiche particolari.
La sua qualità varia principalmente in base alla purezza e alla raffinazione della materia prima
colorante. La colorazione nera dell'inchiostro può variare in numerose tonalità e riflessi differenti tendenti a colorazioni cromatiche più o meno fredde o calde.
La sua preparazione per l'applicazione avviene sciogliendolo tramite lo strofinamento nell'acqua che viene
versata nella pietra-calamaio.
I più antichi "calamai" che conosciamo datano della dinastia Han e consistono in piatti di bronzo, sovente sostenuti da tre piedini e dotati di coperchio. Di epoca Jin se ne conservano varietà di forma analoga, ma in argilla. In seguito, di pari passo con l'evoluzione dell'industria dell'inchiostro, in epoca Tang si giunse all'affermarsi della pietra come materia prima più adatta. Tra le diverse varietà impiegate quelle che si dimostrarono più efficaci furono le due varietà di scisto di She e di Duan, ancor oggi tra le più celebri e ricercate.
La pietra per inchiostro può attualmente presentarsi in forme piuttosto diversificate ma, generalmente, è caratterizzata da una parte incavata più profondamente che funge da serbatoio e da una un
poco più rialzata usata per strofinare la barretta d'inchiostro. Numerose pietre sono sagomate e decorate da raffigurazioni naturalistiche che, secondo la lavorazione e il progetto possono
costituire vere e proprie opere d'arte.
|
|
La carta (zhi / kami)
L'invenzione della carta risale a un'epoca non precisata. Generalmente la si fa coincidere con la fine della dinastia degli Han occidentali (206 a.C. - 8 d.C.
Secondo la tradizione sarebbe stata inventata da Cai Lun, funzionario alla corte degli Han orientali, nel 107 d. C. Si può presumere che in realtà la sua TU più che altro un'innovazione del
prodotto basata sull'impiego di nuove materie prime consistenti in fibre vegetali, in sostituzione delle fibre tessili ricavate dagli scarti tessili precedentemente usate.
Solo verso il IV secolo la carta entrò in uso come supporto di scrittura, sostituendo le tavolette di legno, le lamine di bambù e la seta.
Ben presto ne vennero prodotte numerose varietà che si differenziarono per colore, qualità, assorbenza, grammatura e texture.
La materia prima usata nella sua produzione consiste in fibre vegetali derivanti dal legno, dalla corteccia o dai fusti di piante erbacee (canapa, gelso, bambù, paglia di riso, ecc.).
La scelta della carta è molto importante e contribuisce a determinare l'ottenimento di effetti
calligrafici specifici, adattandosi in modo differenziato alla stesura dell'inchiostro.
Altri strumenti in uso nella calligrafia
Oltre ai "Quattro tesori" del calligrafo vengono usati diversi altri strumenti, tra i quali i seguenti:
fermacarta ( bunchin);
panno di feltro (shitajiki) su cui appoggiare il foglio durante la scrittura;
poggiapennelli ( fudeoki);
contenitore per l'acqua ( suiteki); piccolo paravento paraspruzzi
stuoiette portapennelli (fudemaki).
Come si può intuire, nonostante questi oggetti debbano rispondere a precise necessità pratiche, la loro funzione può essere assolta da altri strumenti non specificamente prodotti per l'uso in calligrafia. Ad esempio il contenitore per l'acqua può essere sostituito da un bicchiere o da una tazza, oppure un ciottolo o qualsiasi oggetto sufficientemente pesante può fungere da fermacarta.
Ciò ha fatto sì che questi strumenti, nel tempo, siano stati prodotti con minori limitazioni alla creatività, nelle forme più varie, spesso molto elaborate e riccamente decorate. Nella loro produzione si sono sbizzarriti artigiani e artisti, dando vita a pezzi anche di grande valore, rivolti più al mercato collezionistico che a coloro che praticano la calligrafia.
Le calligrafie per essere mostrate in ambito privato o pubblico devono essere "montate" in modo
adeguato. Tradizionalmente sono previste due forme di fruizione estetica:
- il rotolo
orizzontale (makimono) da svolgere appoggiato in piano e riavvolgere
gradualmente durante l'osservazione,
- il rotolo verticale (kakejiku) da appendere alla parete.
In entrambi i casi il sottile foglio di carta dev'essere incollato su un supporto di seta o di carta per ottenere una sufficiente resistenza all'usura e per togliere le ondulazioni che si producono durante la stesura dell'inchiostro. In seguito il foglio incollato viene montato in una sorta di passe-partout di tela che permette di mantenere l'avvolgibilità dell'insieme.
Esistono diversi tipi codificati di montaggio che si adattano ai vari formati della carta. La scelta del motivo decorativo, dei colori e della proporzione della cornice devono essere ben considerati per non entrare in contrasto con il carattere dell'opera che accoglie. L'opera montata, pur mantenendo la funzione di complemento all'arredamento, ha prevalentemente un ruolo comunicativo che si esplica nella trasmissione di messaggi legati a particolari occasioni. La sua esposizione avviene durante periodi limitati, anche molto brevi, e può essere in relazione alla visita di particolari ospiti, a precisi momenti dei cicli stagionali o a ricorrenze da sottolineare con messaggi scritti caratterizzati anche da complessi riferimenti simbolici.
In Giappone la sua collocazione privilegiata è in una particolare nicchia (tokonoma) del locale in cui si accolgono gli ospiti, abbinata ad esempio a una composizione floreale, pure essa in sintonia con la circostanza a cui è destinata la calligrafia.
La carta (Giapponese: Kami, Cinese: Zhi) usata nell'arte della calligrafia non è un semplice supporto amorfo su cui si stende l'inchiostro, ma è un importante elemento con cui si deve imparare a dialogare. È una materia che si potrebbe quasi definire "viva", dotata di caratteristiche particolari. Bisogna conoscerne l'assorbenza, apprezzarne il colore, la consistenza e la texture per abbinarvi l'inchiostro più adatto. La sua superficie partecipa alla definizione dell'opera in modo determinante; basti considerare il fatto che costituisce tutto lo spazio non occupato dall'inchiostro e che quindi è la sua texture superficiale a corrispondere al "vuoto" che nasce dal "pieno" del tratto creato dallo scorrere del pennello. Anche se in molte occasioni prima di iniziare una calligrafia non si bada molto alle sue caratteristiche, dai primi tocchi di pennello ci si accorge quale sia la sua rispondenza e quali siano le sue qualità.
Un'adeguata scelta della carta è quindi molto importante per ottenere l'effetto calligrafico desiderato, ma anche per far sì che l'opera finita sia coerente con la circostanza per cui è stata eseguita.
Forse potrà risultare un po' eccessivo includere tra i piaceri derivanti dalla pratica della calligrafia quello prodotto dal profumo dell'inchiostro, dall'ammirazione dell'armoniosa forma di un pennello, dalla delicata sensazione prodotta al tatto da una carta artigianale o ancora dalla vista della sua struttura osservata in controluce. Eppure anche questo può corrispondere a una forma di rispetto nei confronti della competenza dell'artigiano che li ha prodotti e del lavoro che esso ha "prestato".
L'origine della carta risale in Cina a un'epoca non ben precisata, probabilmente coincidente con la fine degli Han occidentali (Xi Han206 a.C.-8 d.C.). Sembra che nel 105 d.C. Tsai Lun, ministro dell'agricoltura, per la sua fabbricazione suggerì l'uso del "china grass", del gelso e del bambù. Solo nel corso del IV secolo però sarebbe stata applicata come supporto in calligrafia, per sostituire le tavolette di legno e le lamine di bambù.
La sua fabbricazione nei secoli seguenti passò in Corea e da lì venne esportata in Giappone. Nel 751 (?) la tecnica di produzione arrivò a Samarcanda tramite alcuni prigionieri cinesi e si diffuse rapidamente in tutta l'Asia Minore. Gli Arabi ne estesero la fabbricazione all'Africa del nord e ai loro possedimenti in Spagna dove, nel 1154 a Dativa, sorse una cartiera. Nel XIII secolo l'industria della carta giunse in Italia (Fabriano, 1276) e in gran parte dell'Europa.
Tra le qualità di carta più rinomate prodotte attualmente in Cina, vi sono le Xuanzhi (carta di Xuan) provenienti dalla regione di Xuanchen nel sud-est dell'Anhui, in particolare a Jingxian.
La carta giapponese di produzione artigianale viene genericamente chiamata washi . Secondo la tradizione la sua tecnica di produzione venne importata nel paese nel 610 dal monaco coreano Donchō. La sua diffusione fu rapida e fino all'epoca Muromachi (1392-1573) venne prodotta da piccole aziende familiari che ne elaborarono un grande numero di varietà, tramandandone l'arte della fabbricazione di generazione in generazione. Si calcola che già in epoca Nara (710-794) vi fossero almeno 200 tipi diversi di carta.
In epoca Heian (794-1192) si giunse alla piena maestria nella sua produzione, intensificandone le differenze nella texture, nell'assorbenza, nel colore, ecc.
Dal XII secolo l'aumento costante della richiesta per gli impieghi più disparati fece crescere ulteriormente la produzione e fece si che nelle diverse regioni ne vennero sviluppate delle varietà specifiche adatte a usi particolari: calligrafia, pittura, decorazione (lanterne), componenti architettoniche (shōji), stampa, suppellettili (ventagli, ombrelli), imballaggi, ecc.
Se in calligrafia prevalentemente vengono usate carte "bianche", ne esistono anche di colorate, a tinte naturali diverse, o con l'inclusione di elementi vegetali (foglie e fiori secchi) e minerali (oro, mica, ecc.) adatte ad occasioni particolari. I procedimenti di fabbricazione di queste varietà sono gelosamente custodite dai loro produttori e spesso i loro prezzi raggiungono cifre considerevoli.
Attualmente la tradizione della washi si perpetua soprattutto nei villaggi del nord
dell'isola principale (Honshū) e nelle prefetture di Nagano, Ehime, Gifu, Fukuoka, Tottori, Yamanashi, Fukui, Kōchi, Saitama e Shimane.
Seguendo la tradizione, la washi viene prodotta con le fibre della corteccia di diversi alberi come ad esempio il gelso kōzo (carta
Choshi), il ganpi (carta Hishi o Ganpishi ), il Mayumi (carta Danshi ), il mitsumata (carta Mitsumatagami, oppure con fibre di canapa asa (carta
Mashi ) o fibre di riso (carta
Warashi).
La corrente carta da calligrafia per esercizi, di fattura industriale, in Giappone viene generalmente prodotta con legno d'importazione (Canada e Siberia). Il suo costo naturalmente è molto inferiore rispetto a quello della carta artigianale, ma ciò vale anche per la sua qualità!
Questi cambiamenti si sono estesi dalla sua origine fino alla fine della dinastia dei Jin occidentali (xi Jin, 265-316 d.C.), dando vita alle cinque differenti forme di scrittura (shuti/shotai) tuttora praticate.
Nelle epoche seguenti i cambiamenti furono sostanzialmente di carattere stilistico, legati alle diverse interpretazioni creative, personali, dei calligrafi.
Secondo recenti ritrovamenti le origini della scrittura cinese sarebbero testimoniate da incisioni, consistenti in disegni stilizzati (occhi, finestre, numerali, ecc.), su gusci di tartaruga ritrovati in tombe risalenti al 6600-6200 a.C. a Jiahu nella provincia di Henan.
Le prime solide testimonianze di protopittogrammi consistono in disegni stilizzati su frammenti di terracotta, che rappresentano esseri umani, animali, oggetti e elementi naturali, risalenti al periodo neolitico, più precisamente alle culture di Yangshao ( 6000-3000 a.C.)
Quelli che possiamo invece considerare i primi veri caratteri arcaici di scrittura, incisi su frammenti di ceramica, datano dal III millennio e appartengono alla cultura di Longshan . Queste iscrizioni, che nel loro insieme mostrano già l'esistenza di un sistema di scrittura maturo, hanno un seguito in quelle risalenti al periodo delle dinastie Shang ( XVI XI secolo a.C.) e Zhou ( XI sec.- 256 a.C.).
I primi generi di scrittura (appartenenti alla Zhuanshu / Tensho) diffusi fino all'affermarsi della Dazhuan (vedi sotto) vengono generalmente raggruppati nel genere Guwen sia che si tratti di scritte su metallo, ossa o carapaci.
Costituita da un grande numero di caratteri incisi su jiaguwen e su bronzi ritrovati in altari, la scrittura delle epoche Shang e Zhou si caratterizza per una moltitudine di varianti locali. Attualmente sono stati rinvenuti più di 100.000 jiaguwen; da essi sono stati catalogati circa 5000 caratteri diversi, la metà dei quali sono stati decifrati e tradotti in caratteri "moderni". Si può considerare che le strutture fondamentali della scrittura cinese, testimoniate dai jiaguwen, siano giunte a una stabilizzazione formale verso l'epoca dei Regni Combattenti (Zhan Guo 453-256 a. C. ).
Usata per più di un millennio, la scrittura su jiaguwen si caratterizza come poco uniforme; la struttura dei caratteri e le loro proporzioni non sono strettamente definite; un carattere può presentarsi secondo diverse varianti. In un unico testo si possono trovare caratteri di dimensioni diverse in disposizioni e allineamenti irregolari. I tratti che compongono i caratteri sono lineari e di spessore uniforme. Molte scritte risultano essere state tracciate a pennello prima di venire incise e in seguito riempite con colore rosso.
Tra le varie tipologie di caratteri, i pittogrammi mantengono una forma che li rende molto evocativi e allusivi rispetto all'oggetto che rappresentano, in sintesi dall'aspetto particolarmente espressivo.
I testi, caratterizzati da una certa ripetitività, sono di diversa lunghezza e concernono prevalentemente pratiche divinatorie, ma anche riti o registrazioni di avvenimenti.
|
|
|
|
|
|
Sempre risalenti alle epoche Shang e Zhou (diffuse tra XIV-VIII sec. a.C.) sono state rinvenute numerose scritte su bronzi usati a scopo rituale, in particolare vasi e campane.
Per gran parte appartenente al genere Guwen, la scrittura Jinwen, soprattutto agli inizi mantiene molte caratteristiche della Jiaguwen ma gradualmente subisce un'evoluzione che la porta ad essere più arrotondata e di struttura più compatta, avvicinandola alla Dazhuan.
Le ultime manifestazioni di scrittura su bronzo, contraddistinte da un maggior ordine e allineamento dei caratteri, sono tracciate nel genere Dazhuan.
|
|
|
Documentata da numerose scritte su metallo, ma anche da scritte in lacca su tavolette di giada, iscrizioni su seta, ceramica, tavolette di bambù e sigilli. È la più antica incisa su pietra (epoca dei Regni Combattenti). I caratteri sono scritti in modo piuttosto complesso, mantenendo una serie di varianti stilistiche locali. Nelle sue forme più tarde diventa più uniforme, con caratteri più semplici e di facile lettura.
In seguito alla riforma della scrittura, e l'adozione del Zhuan minore (vedi sotto), per motivi di classificazione si raggruppano in essa anche tutte le scritture precedenti.
La distinzione tra Zhuan maggiore e Zhuan minore avvenne sotto gli Han quando si trattò di definire la scrittura ufficiale messa a punto sotto l'Imperatore Qin Shihuangdi che aveva ordinato al proprio Primo Ministro Li Si (?-208 a.C.) la riorganizzazione e l'unificazione della scrittura.
|
|
|
|
|
|
Frutto di un'evoluzione del Zhuan maggiore, avvenuta nel periodo precedente il regno Qin (221-206 a.C.), il Zhuan minore assunse una forma definitiva sotto il regno di Wang Zheng dei Qin, il futuro Shihuangdi che si attribuì il titolo di imperatore dopo aver unificato la Cina. Nell'ambito della riforma politica e amministrativa che impose al paese per favorire lo sviluppo della cultura e facilitare i compiti amministrativi, Shihuangdi ordinò al proprio Primo Ministro Li Si di standardizzare e unificare la scrittura. Da quest'opera derivarono la nascita ufficiale del Zhuan minore e il decreto d'abbandono delle varietà di scrittura Zhuan maggiore fino ad allora in uso.
La nuova scrittura unificata risultò meno complessa e di più agevole esecuzione e per la prima volta nella storia della scrittura cinese i caratteri vennero tracciati in uno spazio regolare (rettangolo verticale) indipendentemente dal numero di tratti da cui erano composti. Questo la caratterizza come la prima forma di scrittura veramente regolare.
Esistono diversi stili di scrittura Zhuan minore, caratteristici delle scuole succedutesi nel tempo, fino al suo abbandono come forma di scrittura comune. Ciò avvenne all'epoca della dinastia Han , quando venne sostituita da altre forme di scrittura, rimanendo riservata ad occasioni particolarmente solenni. Il suo uso in seguito rimase legato quasi esclusivamente all'ambito calligrafico e in epoca Tang venne studiato e ne vennero elaborati nuovi stili (in particolare va ricordato quello di Li Yangbing , attivo VIII sec.) che servirono da modello a numerosi calligrafi dei secoli seguenti.
Le cinque forme
–› scrittura Zhuan (o scrittura sigillare) (Zhuanshu/Tensho)
–› scrittura degli scrivani (o dei funzionari) (Lishu/Reisho)
–› scrittura corrente (o semicorsiva) (Xingshu/Gyōsho)
–› scrittura corsiva (Caoshu/Sōsho)
–› scrittura normale (Kaishu/Kaisho)
Fonti :SHODO.IT