La spada dei samurai 



Il culto della spada riveste un ruolo particolare nel folclore e nella storia giapponese. Come perfetta lama tagliente, ineguagliata nel mondo, come oggetto d'arte, talismano, la spada del samurai godeva di un'universale considerazione. Arma tremenda se impugnata da mani arroganti o brutali, la spada poteva essere capace anche di atti benevoli, persino di dare la vita nelle mani del guerriero che praticava il bushi-no-nasake , la propensione del guerriero verso la clemenza e la generosità.

 


Era proprio nell'arte di maneggiare la spada che si pensasse fosse più appariscente la presenza dello zen. L'influenza dello zen sul samurai fu fondamentale; tratta indifferentemente la vita e la morte e non le prende in considerazione, ciò che conta é che si agisca d'istinto, partendo dalla conclusione a cui si è giunti, razionale o irrazionale che sia. Si credeva che una buona spada assumesse la personalità del suo forgiatore e che avesse, in un certo senso una sua vita occulta, e la condizione essenziale per il samurai con la spada sguainata era quella di munen, termine zen che significa senza pensiero e che deriva da mu, vuoto, nulla, non essere. Un modo di dire giapponese può aiutare a chiarire il concetto: munen muso de aru, scevro da ogni pensiero mondano. Un altro concetto esprime il significato di mu : mushin no shin, la mente dell'assenza della mente. Con questa dote il guerriero svuota la sua mente e diviene immune da ogni influenza esterna. Questa espressione si riferisce ad una mente sempre attiva, flessibile e capace di agire senza lasciarsi impedire da ostacoli che sarebbero fatali per uno spadaccino. Presupposto essenziale per il conseguimento di uno stato mentale che travalicava la semplice tecnica era il possesso di un grande e forte Ki. Simbolo della fede e delle leggi , questa spada rappresentò simultaneamente il passato ed il presente, il centro del potere spirituale e politico e naturalmente la personalità dell'uomo che l'impugnava attraverso l'estensione del suo Ki.

 

Mitologia e origini

 

Il Kojiki, il libro fondamentale dello scintoismo, narra che il dio Haya Susanoo, figlio del dio Izanagi, creatore insieme alla dea Izanami delle isole nipponiche, venne esiliato nella regione di Izumo dalle otto centinaia di decine di migliaia di dei. Qui, egli uccise un drago con otto teste per salvare una vergine offerta in sacrificio al mostro. Ucciso il drago, egli si affrettò a tagliarlo in pezzi con la propria spada, ma arrivato alla coda, non riuscì a troncarla, ed il filo della lama si intaccò. Aperta la coda per tuta la sua lunghezza, Susanoo vi trovò all'interno una grande spada che si chiamava Tsumugari, la ben affilata. Egli consegnò la spada alla dea solare Amaterasu la quale la diede al nipote Ninigi quando questi discese dal cielo per governare il Giappone. La spada fu inseguito ereditata dagli imperatori, il decimo dei quali, Suigin, la fece porre nel tempio di Ise. Il principe Yamato Takeru, figlio del quattordicesimo imperatore, preparandosi alla spedizione contro gli Ainu, si fece consegnare la Tsumugari e la portò con sé durante la campagna di guerra. Un giorno i nemici attirarono il principe in una prateria e diedero fuoco alle sterpaglie. Yamato Takeru falciò prontamente l'erba in fiamme (o fu la spada stessa a farlo per magia) creandosi cosi un varco. Da quel giorno la spada si chiamò Kusanagi no Tsurugi, la spada falciatrice di erba. E' significativo che questa spada provenga proprio da Izumo, regione ricca di minerali ferrosi. Essa consegnata agli imperatori del Giappone il giorno della loro incoronazione, insieme allo specchio e alla gemma, simboli di Amaterasu.


La lavorazione del ferro sia per fusione che per forgiatura era conosciuta in Cina settentrionale fin dal VI sec. a.C. I giapponesi nel 362 d.C. invasero la Corea del Sud, restandovi per 200 anni. Fu dalla vicina Cina che conobbero l'uso delle armi in ferro ed in particolare della spada dritta ad un solo taglio, mentre fino a quel momento essi avevano usato unicamente la pietra ed il bronzo. Verso la fine del IV sec. il Giappone diede inizio ad una propria produzione di spade in ferro, mettendo a punto particolari tecniche di fabbricazione, ma sviluppando forme e tipologie assolutamente originali.

 

Lame

 

Tipologie

 

Con il termine Nipponto si intendono le diverse tipologie di lame sia da fianco che da asta. Le spade vere e proprie, Token, prerogativa esclusiva dei samurai erano la Tachi e la Katana; infatti solo i guerrieri potevano portare lame superiori a 60 cm. Queste venivano esibite in speciali combinazioni, Daisho, comprendenti due lame: Tachi e Tanto prima del XVII sec, Uchigatana e Wakizashi dopo il XVII sec.


Tachi: avevano una forte curvatura e la loro lunghezza si aggirava tra i 65 e 70 cm. Si portavano appese ad una cintura in orizzontale con il taglio rivolto verso il basso.
Nodachi: spada lunghissima e pesante utilizzata dai guerrieri a cavallo. Era lunga circa 90 cm e veniva portata sulla schiena , a tracolla, con l'elsa sopra la spala sinistra ed il cordone di ritegno allacciato al fianco destro.
Uchigatana ( Katana): questo tipo di lama sostituì la Tachi. La sua lunghezza andava da 60,6 cm ( 2 shaku) in su. Essendo più corta della tachi, la Katana si portava infilata nell'obi, cintura del kimono, con il taglio rivolto verso l'alto. Altro nome della katana é Daito, e se particolarmente lunga può anche definirsi Okatana.
Chiisakatana: lame di lunghezza compresa tra 55 e 59 cm, sono generalmente di grande pregio poiché destinate ad essere portate con un particolare abito cerimoniale a Corte.
Wakizashi: la lunghezza di queste spade, che venivano portate come le Katana, varia da 30,3 a 60,3 cm (da 1 a 2 shaku). La Wakizashi veniva portata insieme alla Katana, componendo così il Daisho del samurai.
Tanto: lame di lunghezza inferiore ai 30,3 cm, anche dette Koshigatana.
Kaiken: pugnali portati dalle donne con lama di circa 13 cm.
Yoroidoshi: lama di lunghezza compresa tra i 23 e i 30 cm, capace di penetrare tra le lamelle delle armature e a tale scopo utilizzata. Si portava infilata verticalmente nell'obi dietro la schiena, ma anche sul fianco destro, con il taglio verso l'alto; per questa ragione venne chiamata anche Metazashi, che significa appunto "da fianco destro".
Hachiwara: non era propriamente una lama, ma veniva portata come tale. Lunga circa 30 cm e di sezione quadrata, era munita di un uncino per parare i colpi di spada ed eventualmente spezzarne la lama.

 

Superstizioni

 

Numerose furono le superstizioni concernenti la lama delle spade; alcune si riferivano a particolari eventi che potevano accadere al manufatto, altre ai segni presenti sulla lama, altre ancora sulla lunghezza di quest'ultima, le cui variazioni potevano avere un significato infausto propiziatorio. Anche i segni lasciati dal processo di forgiatura sulla superficie della lama venivano interpretati secondo le leggi della divinazione; potevano diventare animali, costellazioni o corpi celesti dai quali venivano ricavati diversi presagi: slealtà da parte dei servi, rischio di cecità per il padrone della spada o per i suoi congiunti, morte, tragedie domestiche, cattiva salute, incendi, morte per assassinio, eccetera. La superstizione più interessante riguarda la lunghezza della spada. Il tagliente, misurato dalla base alla estremità della punta, veniva idealmente suddiviso in 10 settori:

 

Zai (salute),

Bio (malattia),

Ri (separazione),

Gi (lealtà),

Kan (buona posizione),

Go (peccati),

Gai (ingiurie),

Kitsu (fortuna),

Zai (salute),

Bio (malattia).

 

La lunghezza totale della spada, lama + codolo, veniva poi divisa per la lunghezza del codolo, ed il quoziente moltiplicato per due. Il numero risultante veniva poi raffrontato con la scala dei trigrammi: se cadeva in un intervallo infausto si procedeva all'accorciamento del codolo o della lama affinché non si raggiungeva un valore favorevole. In base a tali criteri, la lunghezza ideale di una lama, pari a quattro volte il codolo, era sconsigliabile.

 

La tradizione

 

Per un periodo di circa 1500 anni, in Giappone il mestiere dello spadaio si e' sviluppato in relazione all'evoluzione della spada intesa come arma, che doveva possedere dei requisiti fondamentali di affidabilita', di efficienza e di praticita'. La maggior sfida tecnologica per gli spadai giapponesi si rivelo' essere lo sviluppo di tecniche costruttiva attraverso cui le due proprieta' caratteristiche dell'acciaio, in apparenza contrastanti, quali la durezza e la duttilita', potessero confluire insieme nella costruzione di una lama. La lama di una spada, doveva essere dura in modo tale da poter mantenere un filo sempre tagliente; pero' l'acciaio duro e' fragile e si poteva rompere o scheggiare sotto lo stress di un colpo portato con forza notevole. Lo soluzione grandiosa che i fabbri giapponesi adottarono dopo continui tentativi, fu quella di avvolgere un cuore di acciaio tenero in una camicia di acciaio duro, e quindi temperare il filo attraverso dei processi termici. Virtualmente tutto cio' che si conosce sulle tecniche moderne di costruzione delle spade derivano da questo antico ma ancor valido principio. Le lame belle sono per definizione ben fatte; per esempio i disegni decorativi sul filo, chiamati hamon, rispondono esclusivamente a requisiti estetici; mentre le caratteristiche del metallo quali il colore, la struttura e la saldatura, testimoniano l'abilita' del fabbro nella forgiatura.

 

Koto: spade antiche La tecnologia che condusse allo sviluppo delle spade giapponesi, probabilmente ebbe origine in Cina e fu importata in Giappone attraverso la Corea. La piu' vecchia spada di acciaio ritrovata in Giappone in una tomba risale circa al IV-V secolo d.C. Queste lame, chiamate chokuto sono dritte ed hanno un solo filo tagliente. Alcune spade costituite da queste lame sono conservate nel museo di Shosoin. Lame di questo genere sono talmente sottili che se poste in aria parallelamente al pavimento, esse si inclinano sotto il loro stesso peso. Per questo motivo si pensa che queste spade venissero utilizzate solo per cerimonie e non come armi. Quando la capitale fu spostata a Kyoto, durante il periodo Heian (794-1185) i giapponesi fecero enormi progressi migliorando le tecniche per la lavorazione dell'acciaio. I guerrieri utilizzavano le spade durante i combattimenti a cavallo, quindi avevano necessita' di disporre lame che non bucassero il corpo del nemico, mancando l'appoggio necessario alla forza di spinta, ma che avessero una funzione tagliente; in questa situazione di lotta la lama curva rispondeva brillantemente a questo requisito. Le spade dovevano inoltre essere lunghe ma nello stesso tempo tanto leggere da poter essere maneggiate con una sola mano. In questo periodo le lame erano lunghe circa 90 cm.; sottili ed uniformemente curvate esse si assottigliavano dalla base della lama fino al filo, venivano portate nell'obi del kimono con il filo rivolto verso il basso. Durante il periodo heian le spade venero chiamate tachi ed erano le dirette discendenti di antiche spade chiamate kotoantecedenti al VII sec. Non si hanno molte notizie sul mondo dei fabbri di questo periodo; tuttavia le corporazioni e le associazioni che erano a stretto contatto con i santuari o templi, avevano il diritto esclusivo della fabbricazione delle spade; i fabbri appartenenti a questi gruppi potevano partecipare alle cerimonie e agli affari religiosi. Questa partecipazione rifletteva sia il potente ruolo esercitato dai preti guerrieri sia la stretta e tradizionale connessione tra gli spadai ed il culto giapponese. Questa interazione e' continuata fino ai giorni nostri, in cui alcune cerimonie di purificazione sono celebrate prima della forgiatura di una nuova lama o prima della costruzione di un nuovo edificio religioso. Nel periodo Kamakura (1185-1333) il Giappone si trovava sotto il dominio della classe dei guerrieri, ed e' forse per questa ragione che tale periodo viene definito come l'eta d'oro della spada giapponese. Ancora nel periodo Heian, le spade venivano costruite e forgiate da un unico pezzo di acciaio ad alto contenuto do carbonio; mentre e' proprio nel periodo Kamakura che i fabbri impararono ad inserire all'interno della lama un cuore di acciaio a basso contenuto di carbonio. Moltissimi accorgimenti ed innovazioni tecnologiche vennero incentivate dall'imperatore Gotoba (1180-1239), che aveva radunato attorno a se i migliori fabbri e spadai del momento e che spesso forgiava egli stesso le sue spade. Un ulteriore spinta nello sviluppo della forgiatura si ebbe in seguito ai due tentativi di invasione del Giappone da parte dei mongoli, avvenuti verso la fine del XIII sec. Come risultato ci fu un grosso impulso da parte dei fabbri nella costruzione di lame piu' corte, i tanto, che risultarono molto utili nel combattimento corpo a corpo; nello stesso momento, le lame delle tachi divennero piu' larghe e piu' spesse, in modo da poter essere ripulite svariate volte, e la spada nel suo complesso piu' pesante. Queste tachi richiedevano per il loro utilizzo l'uso delle due mani, rimarcando in questo modo l'importanza dei soldati a piedi durante le operazioni militari. Durante il periodo di Nambokucho (1333-1392) gli innumerevoli metodi di forgiatura e costruzione delle spade nel loro complesso si identificarono principalmente in cinque Scuole che presero il nome dalle province in cui esse si trovavano:

 

Nome Scuola

Prefettura

- Soshu

Kamakura

- Bizen

Okayama

- Yamashiro

Kyoto

- Yamato

Nara

- Mino

Gifu

 

Queste cinque Scuole furono chiamate gokaden o"cinqueTradizioni".

 

Nei secoli seguenti le spade venero classificate in base all'appartenenza o meno a queste Scuole. In questo periodo il Giappone era dilaniato da numerose guerre intestine, ed è per questo motivo che la domanda di nuove spade continuò a crescere; la produzione di massa delle lame ando' a discapito della qualita'. Fu in questo periodo che si sviluppò lauchigatana, una lama uniformemente curvata che si portava infilata nell'obi del kimono, il cui singolo colpo combinava un'azione di taglio e una di perforamento. La sua lunghezza era di circa 60 cm. e risulto' molto piu' maneggevole in spazi ristretti rispetto alla tachi.

Concludiamo questa lunga ricerca sulle spade giapponesi, con la descrizione delle varie fasi della costruzione di una katana, che, come abbiamo visto precedentemente, è costituita da un cuore di acciaio tenero avvolto da una camicia di acciaio durissimo. Il processo fondamentale di costruzione di una tale spada, è analogo a quello utilizzato per costruire altri tipi di armi bianche: pugnali e piccoli coltelli, sono anch'essi costruiti partendo da un unico pezzo di acciaio.

 

Tamahagane o acciaio giapponese


L'acciaio è costituito da ferro contenente una percentuale di carbonio variabile; più' il suo contenuto è alto, più l'acciaio risulta duro. Molti fabbri in Giappone lavorano con una particolare e tradizionale forma di acciaio chiamato Tamahagane; che viene prodotto un una fornace tipica giapponese chiamata Tatara, operante per conto dell' NBTHK in Yokota, una piccola cittadina della provincia di Shimane situata nella parte occidentale de Honshu. Nella tatara come unica fonte di calore e di carbonio viene bruciato carbone vegetale. Sebbene questo tipo di fornace non sembra essere un'invenzione giapponese, infatti potrebbe aver avuto origine in Manciuria durante il V-VI sec. A.C., durante il XIV sec. i fabbri che operarono, furono responsabili di due importi innovazioni nella tecnologia della fusione: l'utilizzo di un canale di scolo per i rifiuti della fusione e l'aumento delle dimensioni della fornace stessa. Durante il periodo Muromachi, tutte le innovazioni tecnologiche apportate alla lavorazione dell'acciaio, risultarono provenire quasi esclusivamente da un unica zona situata nelle vicinanze del Mar del Giappone, Shimane. In questa zona si trovavano le piu' grandi riserve di carbone e la sabbia ferrosa qualitativamente migliore; per queste ragioni, alla fine del periodo Edo circa l'80% di tutto l'acciaio giapponese veniva prodotto a Shimane. Queste fornaci, che funzionavano principalmente durante il periodo invernale a causa delle alte temperature che si sviluppavano al loro interno e nelle loro vicinanze; gradualmente persero di importanza e cominciarono il loro declino parallelamente ai vari periodi di pace che attraversarono il Giappone; l'ultima tatara funzionante terminò la produzione di tamahagane nel 1925. Tra il 1933 ed il 1944 ci fu una piccola ripresa dovuta all'interessamento di Yasukuni Shrine che costruì ed installò una tatara personale nella prefettura di Shimane. Solamente nel 1975 l'NBTHK (Nhion Bijutsu Token Hozon Kyokay) decise di ritornare alla tradizione ripristinando l'originale produzione di tamahagane con l'installazione di una nuova tatara nella stessa prefettura. Ai giorni nostri, quando è in produzione, la fornace è condotta da circa una dozzina di uomini che lavorano in turni di dodici ore ciascuno. Nella zona di Shimane, il ferro sotto forma di minerale grezzo è chiamato satetsu ed è il prodotto della erosione naturale subita dai depositi ferrosi che si trovano nei letti del fiumi; oggi il satetsu viene estratto dai mucchi di sabbia utilizzando una grossa calamita .


La tatara è costruita essenzialmente in argilla, ed il suolo su cui viene edificata è preparato creando una grande superficie sotterranea formata da pietre e argilla, in cui l'area appena al di sotto del forno vero e proprio è quindi riempita con carbone. La sua funzione principale è quella di prevenire qualsiasi forma di umidità che potrebbe derivare dall'evaporazione e dall'abbassamento di temperatura durante il funzionamento della fornace, e, se concepita e costruita adeguatamente, questa zona sotterranea può essere utilizzata per diversi anni. Ogni volta che la tatara inizia la produzione dell'acciaio, le sue pareti vengono ricostruite con mattoni di argilla, la cui composizione è tale da renderli resistenti al calore ed all'auto fusione. Alla base di ciascuna parete che costituisce il forno si trovano dei fori in cui sono inseriti dei mantici azionati da un motore. Un ciclo operativo completo della fusione in una tatara dura cinque giorni: un giorno per costruire le pareti, tre giorni per la fusione vera e propria, un giorno per rimuovere il ferro non utilizzato. Essenzialmente la tatara è una vasca di argilla larga 1,5 mt, alta 1,30 mt, e lunga 4,5 mt. (misure approssimative). Dopo aver costruito le pareti, viene acceso un fuoco alla base della vasca alimentato continuamente con pezzi di pino e di quercia per circa tre ore; successivamente sulla sommità del carbone formato viene steso uno strato di sabbia ferrosa immediatamente seguito da uno strato di charcoal. Dopo circa 30 minuti si ripete la stessa operazione in modo tale che carbone e sabbia vengano aggiunti ad intervalli di 30 min. per 72 ore consecutive. Quando il ciclo di fusione è terminato, la tatara ha consumato circa 13 tonnellate di carbone e circa 8 tonnellate di sabbia. La temperature raggiunte durante questo periodo oscillano tra i 1200 ed i 1500 gradi. Abbiamo precedentemente visto che le impurezze del ferro hanno una temperatura di fusione più bassa di quella del metallo, quindi fondendo colano attraverso i fori di drenaggio; in questo modo rendono possibile la combinazione del carbonio contenuto nel carbone con il ferro puro così ottenuto. Il risultato di questo enorme consumo di materiale è la formazione di un unico blocco di acciaio del peso di circa 2 tonnellate chiamato kera.

 


A questo punto del ciclo produttivo le pareti della tatara vengono abbattute, ed il blocco viene spaccato in dodici pezzi più piccoli; ogni "pezzetto" viene tagliato a fette con un maglio fino al raggiungimento della dimensione di un pugno; i pezzettini così risultanti verranno ispezionati e classificati prima del loro utilizzo. Circa la metà del blocco di kera è composto da acciaio con un tenore di carbonio che oscilla tra lo 0,6 e l'1,5 %; questa porzione viene chiamato tamahagane. I 2/3 di esso risulta essere acciaio di ottima qualità con un tenore di carbonio che oscilla tra l'1 e l'1,2 %; il resto viene utilizzato per combinare assieme pezzi con una più alta o più bassa % di carbonio. La metà di kera che non è considerato tamahagane può essere convertita in una riserva di acciaio utilizzabile attraverso l'addizione o la riduzione di carbonio. Differenti gradi di durezza o di morbidezza dell'acciaio corrispondono a differenti comportamenti della lama sottoposta a shock. Durante secoli di esperienza, a prima vista i fabbri sono in grado di riconoscere e determinare la % di carbonio presente in qualsiasi pezzo di acciaio a prima vista. Le differenti % producono interessanti effetti ottici sulla superficie del metallo; queste caratteristiche risultano fondamentali nella valutazione complessiva della lama.


Un buon tamahagane deve risultare denso e pesante presentando un luminoso colore argenteo ed una fine struttura; di contro un cattivo tamahagane risulta avere un grossolano colore grigio scuro. Alcune macchioline gialle, blu e porpora che compaiono sulla superficie dell'acciaio possono essere indice di impurezze, ma anche più semplicemente possono comparire dopo la prima esposizione del metallo all'aria che ne determina l'ossidazione.

 

Forgiatura dell'acciaio e creazione del composito

Dopo aver ottenuto i pezzetti di tamahagane, il fabbro li scalda all'interno della fornace e li sottopone a martellatura dopo averli avvolti in un telo liscio. Questo processo viene utilizzato per ridurre il blocco di acciaio iniziale in sottili fogli il cui colore e struttura grossolana sono visibili a occhio nudo, una sezione molto lucente e chiara è indice di un'alta % di carbonio (superiore all' 1%), mentre un colore palesemente scuro ne indica una bassa % e la probabile presenza di impurezze.
I fogli qualitativamente migliori vengono selezionati per costruzione della camicia esterna della lama. Essi prima vengono impilati sopra un piatto di acciaio saldato ad un'asta, successivamente vengono ricoperti di argilla e messi nella fornace. Attorno a questo blocco di acciaio viene messo dell'ulteriore carbone, e al raggiungimento del colore giallo luminoso o bianco che indica una temperatura di circa 1300 gradi, viene tolto dal fuoco.

Il pezzo di acciaio incandescente viene messo sull'incudine e martellato delicatamente fino a quando tutti i fogli originali sono stati fusi assieme omogeneamente. In questa fase della fusione occorre lavorare abbastanza velocemente perchè l'abbassamento repentino della temperatura dell'acciaio una volta estratto dalla fornace e non ne permette la fusione completa. Il blocco di acciaio viene rimesso nuovamente nella fornace, riscaldato e rimartellato: il primo processo di martellatura viene utilizzato per consolidare la fusione tra i fogli da tamahagane ed il piatto su essi erano impilati, i successivi servono invece per aumentare la lunghezza del blocco di almeno il doppio. Alla fine del processo sopra descritto, la barra di acciaio viene considerata pronta per la lavorazione; il fabbro con cesello provoca una profonda fenditura sulla sua superficie che servirà per la successiva ripiegatura della barra su se stessa restituendogli le sue dimensioni originali. Il processo di scaldamento e martellatura viene ripetuto fino a che le due parti non sono perfettamente fuse assieme e la barra non ha nuovamente raggiunto il doppio della sua lunghezza primitiva. Ancora una volta il fabbro attraverso un'altra incisione ripiega la barra in due e la rimette nella fornace; questo procedimento viene ripetuto fino quando la barra è stata ripiegata sei volte, per ogni ripiegatura ci vogliono almeno 30 min. e 2-3 scaldamenti. Durante il suo riscaldamento, l'acciaio viene rimosso periodicamente dalla fornace, rotolato dentro cenere di paglia di riso e avvolto nell'argilla. Questo accorgimento aiuta sia a proteggere l'acciaio da eventuale formazione di ossigeno che può raggiungere la sua superficie esterna prevenendone quindi la sua ossidazione, sia riducendo la perdita di carbonio. Quando questa procedura non viene utilizzata, la combinazione di ossigeno con le alte temperature raggiunte nella fornace possono causare una notevole riduzione della % di carbonio con una conseguente ritrasformazione dell'acciaio in ferro e con una drastica riduzione di materiale che deve essere lavorato. In condizioni normali, durante questa fase del processo di fusione viene consumato circa il 50% del tamahagane iniziale, e le sei ripiegature dell'acciaio vengono chiamate shita-gitae o fusione base.
A questo punto però, il metallo non risponde ancora alle caratteristiche desiderate: esso infatti contiene ancora un alto tenore di carbonio non uniformemente distribuito all'interno della barra. Prima di procede ad un'ulteriore fusione, la barra viene tagliata in tre pezzi uguali; due possono servire per la costruzione di lame piccole, mentre quattro, con l'ausilio di un ulteriore pezzo preso da un'altra barra, sono necessari per la forgiatura di una lama di katana. I quattro pezzi vengono impilati uno sull'altro, martellati e scaldati fino a che non sono fusi assieme e quindi ripiegati ancoro 6-7 volte: questa seconda serie di ripiegature viene chiamata age-gitae o fusione definitiva, e fa scendere la % di carbonio circa allo 0.7%. Non c'è un numero predefinito di ripiegature, ma viene considerato pronto alla lavorazione l'acciaio che non presenta sulla sua superficie fessure o spaccature. Questo blocco di acciaio piegato almeno tredici volte diventa una specie di pasta metallica costituita da migliaia di strati per ogni cm. di acciaio.
Dal modo in cui l'acciaio è martellato dipende il disegno complessivo e caratteristico della lama (jihada). Piegando l'acciaio in un unica direzione, quella della lunghezza, e martellandolo in modo che questa parte diventi la superficie della lama, si produce un disegno caratteristico simile ad una dritta venatura chiamata hasame, queste linee dritte non sono altro che quello che rimane dei fogli originali di tamahagane. La barra di acciaio può essere piegata alternatamente anche nelle direzioni della lunghezza e della larghezza. I processi descritti fino ad ora, portano alla formazione di kawagane o rivestimento esterno; questo è l'acciaio che costituisce le superfici laterali della lama. Lame corte come ad esempio i pugnali, possono essere costruite solo di kawagane, mentre lame lunghe come la katana sono costruite creando un composito di acciaio duro all'esterno, ed un cuore più tenero all'interno a bassa % di carbonio; questo cuore é chiamato shingane ed è avvolto per quasi tutta la lunghezza della lama nel kawagane. Essendo più duttile, la sua funzione è quella di proteggere la lama da eventuali rotture o incrinature derivanti da stress o shock.
Per ottenere lo shingane il fabbro utilizza un pezzo di acciaio contenente circa lo 0.5% di carbonio. Anziché appiattirlo per ridurlo in sottili lamine, egli semplicemente lo sagoma con il martello in una barra piatta che viene ripetutamente piegata almeno dieci volte; questa lunga serie di ripiegature è resa necessaria per togliere le impurezze presenti nell'acciaio dato il suo basso tenore di carbonio; alla fine si otterrà una barra lunga e stretta con una percentuale di carbonio pari a circa lo 0.2-0.3%. Acciaio con un diverso contenuto di carbonio può essere ottenuto variando il numero delle piegature. Il passaggio successivo nella forgiatura di una lama consiste nell'avvolgere lo shingane nel kawagane. Innanzi tutto il fabbro rende, con il martello, il kawagane una lamina liscia e lunga circa 40 cm a forma di U per tutta la sua lunghezza, quindi alloggia il pezzo di shigane all'interno di essa per tutta la sua lunghezza tranne che per la punta, che sarà costituita da acciaio più duro. Il "sandwich" così ottenuto viene rimesso nella fornace e portato ad un colore giallo splendente corrispondente a circa 1300 gradi e quindi viene sottoposto a martellatura fino al raggiungimento della completa fusione dei due pezzi di acciaio.
Questo è un passaggio cruciale della forgiatura: un errore può produrre spazi vuoti all'interno della lama o può fare protrudere lo shingane in superficie. Questo tipo di forgiatura base a "sandwich" è la più comune tecnica utilizzata per la costruzione di una lama; tecniche più complesse coinvolgono tre pezzi di acciaio duro che danno origine alle due superfici laterali e al filo; oppure tecniche ancora più sofisticate utilizzano un numero di pezzi di acciaio ancora maggiore, ognuno dei quali darà origine alle superfici laterali, il cuore, il filo ed il retro della lama. Anche se non sono mai stati analizzati pienamente, questi intricati intrecci di strati di acciaio con bassa-media-alta % di carbonio possono riferirsi alle diverse tecniche di forgiatura messe a punto dalle diverse Scuole nel corso dei secoli.

 

Modello della lama e tempra del filo

Dopo aver ottenuto il composito dei due tipi di acciaio, il fabbro inizia ora a modellare la barra di acciaio nel modello che diventerà la lama finita. Egli scalda la barra nella fornace e successivamente la martella fino al raggiungimento di circa il 90% della lunghezza finale desiderata. In questa fase della lavorazione, viene delimitato il codolo, tang, per distinguerlo dal resto creando delle incisioni sul fronte, che diventerà il filo, e sul retro della lama per definire precisamente la sua posizione. Con estrema cautela il fabbro martella la barra dalla punta al codolo per ottenere uno spessore uniforme e una lunghezza di circa 65 cm; cominciano a intravedersi il filo, il retro e la punta della lama.
La barra viene quindi rimessa nella fornace dove raggiunge il colore giallo, circa 1100 gradi, rimartellata fino a raggiungere il colore rosso, circa 700 gradi, e rimessa di nuovo nella fornace. E' questa un'altra fase molto delicata: infatti se la temperatura del composito raggiunge valori troppo elevati, il martellamento può aprirlo e quindi distruggerlo; se invece la temperatura é troppo bassa il martello può spezzarlo. Alla fine di questi cicli il fabbro utilizza una specie di coltello di acciaio per togliere le eventuali sbavature sulla superficie della lama.
Il momento più drammatico nella giornata di un fabbro alle prese con la forgiatura, rimane senza dubbio l'immersione della lama, nella sua fase embrionale, nell'acqua dopo aver raggiunto il colore rosso; infatti il cambiamento improvviso di temperatura provoca una variazione nella struttura molecolare dell'acciaio dando origine alla struttura definitiva della lama stessa. Questa fase della lavorazione, viene eseguita generalmente di notte quando c'è buio, in modo tale che il fabbro possa vedere il colore reale della lama scaldata per poter meglio valutare la temperatura raggiunta. Le leggende secondo cui l'acqua del raffreddamento debba provvenire da una particolare montagna o debba avere una certa temperatura, sono forse fantasiose, ma comunque fanno parte di quell'alone di mistero e di fascino che i fabbri hanno sollevato attorno alle loro tecniche e ai loro segreti.
Il processo successivo è la tempra della lama, yaki-ire; il fabbro inizia tale processo partendo da un unico piccolo pezzo di charcoal per verificare se la temperatura all'interno della fornace rimane costante e per prevenire eventuali danneggiamenti all'argilla che riveste la lama che a sua volta può danneggiare l'hamon. Egli quindi avvolge attorno alla lama uno straccio, e incastra il codolo in una flangia a forma di U posta alla sua fine. Lentamente estrae la lama dal fuoco continuando contemporaneamente ad immettere aria nella fornace per mezzo dei mantici. Questo passaggio della lama nel fuoco fino a quando non comincia a sfavillare, viene ripetuta da 10 a 15 volte; e la sua lavorazione viene eseguita con il filo rivolto verso l'alto. Il carbone viene quindi lasciato morire per poter meglio esaminare il colore raggiunto dalla barra di acciaio. Quando il colore vira dal rosso brillante all'arancione, circa 700 gradi, il fabbro ruota la lama con il filo rivolto verso il basso; dopo ulteriori diversi passaggi, la lama diventa uniformemente colorata, ed il filo viene scaldato a temperature ancora più alte rispetto al retro che ha un colore dal rosso al rosso brillante. Alla fine di questo riscaldamento il fabbro tuffa la lama nell'acqua. Tutte queste lavorazioni portano alla formazione dell'utsuri o riflesso in quanto sulla superficie della lama compare un riflesso biancastro. L'ottenimento dell'utsuri, implica una grande abilità da parte del fabbro che deve rispettare una serie di condizioni di temperatura e di composizione dell'acciaio.
Fondamentalmente nella forgiatura il fabbro scalda l'acciaio lungo tre zone longitudinali della lama: il filo viene portato dai 700 agli 800 gradi, il retro della lama è scaldato tra 700 e 720 gradi, infine le superfici laterali dove appare l'utsuri sono scaldate tra i 750 e i 760 gradi. A questa temperatura l'acciaio si trova in uno stato di transizione tra la fase perlitica e quella austenitica, è presumibile pensare che la formazione di utsuri sia in relazione alla complessa microstruttura della ferrite e della perlite che si ottengono in questa zona della lama. La temperatura può provocare altri effetti che dipendono dalla struttura dell'acciaio: strati ad alto contenuto di carbonio possono produrre più martensite dopo il raffreddamento in acqua, e se il carbonio non è uniformemente distribuito lungo tutta la lama può provocare la formazione di granelli nell'acciaio.
Dopo lo yaki-ire, il fabbro toglie la lama dall'acqua, la riscalda fino alla temperatura di 160 gradi e la raffredda di nuovo: questa é la tempra vera e propria ed aiuta a rivelare eventuale imperfezioni nel filo dovute alla decomposizione di cristalli neo formati di martensite. La tempra può essere ripetuta varie volte, ma é necessario fare estrema attenzione a non raggiungere temperature elevate che potrebbero danneggiare irreparabilmente l'hamon: molte spade antiche salvate in edifici in fiamme avevano il metallo intatto, ma l'hamon era distrutto. Dopo aver tolto dall'acqua la lama, il fabbro rimuove l'argilla e pulisce il filo utilizzando una mola raffreddata ad acqua. Può rendere visibile l'hamon applicando sulla lama una soluzione al 2% di acido nitrico: se la lama prima del raffreddamento è stata scaldata troppo si possono verificare crepe nell'acciaio oppure l'hamon può risultare scarsamente definito, al contrario, se la lama era troppo fredda l'hamon può non essere presente del tutto indicando la non avvenuta tempra della lama. Se tutto il procedimento é invece stato condotto rispettando i tempi e le temperature idonee l'hamon risulterà chiaro e brillante, con un disegno ed un forma esatta.

 

Lucidatura della lama

Quando le varie fasi della forgiatura della lama sono terminate, sull'acciaio possono apparire dei segni caratteristici lasciati da ogniuno dei processi impiegati; con la pulitura e la lucidatura dell'acciaio la superficie della lama finale viene resa perfettamente liscia e priva di impurezze. In generale, il procedimento della pulitura implica l'utilizzo di pietre abrasive, che, rendendo perfettamente visibili i segni sopra citati ne facilitano la loro eliminazione, e, nello stesso tempo lasciano dei loro particolari segni o graffi sulla superficie dell'acciaio che verranno eliminati nelle fasi successive.
Il lucidatore utilizza pietre abrasive naturali o artificaili con una grana di ruvidezza via via sempre più fine, sino all'ultima, che è così fine da risultare più piccola delle variazioni di struttura dell'acciaio provocate dal fabbro. La lucidatura della lama viene eseguita in due caratteristici e fondamentali momenti: il primo é chiamato shitaji o pulitura base dove la lama viene passata e strofinata su pietre ruvide gradatamente più fini; il secondo è chiamato shiage o pulitura finale in cui le pietre sono costituite da finissimi trucioli di arenaria impastati con acqua e lacca fino ad ottenere dei fogli molto sottili che vengono strofinati sulla lama.
Poichè la superficie della lama è curva il lucidatore deve rendersi conto in ogni istante del contatto tra la lama e la pietra e deve procedere con estrema percisione e controllo per prevenire possibili danneggiamenti che non sarebbe possibile successivamente riparare. Per questo motivo, mentre lavora tiene il busto eretto posizionato sopra la lama, muovendo esclusivamente le mani avanti e indietro rispetto alla pietra. La lama viene impuganta con uno straccio nella mano destra e a mano nuda con la sinistra; il palmo delle mani si trova quindi sulla faccia superiore della lama e le dita si trovano sulla sua superficie inferiore; le dita avvolgono la lama, ma per ovvi motivi non esercitano nessuna pressione diretta sul filo. Durante la pulitura della lama, che avviene lungo una sezione di circa 12 cm per volta e viene eseguita sempre partendo dal codolo verso la punta, l'attenzione del pulitore è concentrata sulla pulizia di ogni lato della lama; ogni parte della superficie viene pulita con tecniche differenti, quindi risulta più facile finire un lato esercitando una pressione ed un movimento costante.

 

shitaji o pulitura base

La pulitura di base viene eseguita utilizzando pietre naturali o artificiali con grana sempre più fine determinata dal numero di granelli di arenaria o minerale presenti.
1) La prima pietra nella scala di ruvidità decrescente si chiama arato, e viene utilizzata solo per spade nuove o per vecchie spade gravemente danneggiate o molto sporche. Può essere di arenaria naturale ruvida o minerale (carborundum) con una grana di 180 grit (il grit è una specie di unità di misura per la ruvidezza, come per la nostra carta vetrata). Il pulitore strofinando la lama perpendicolarmente alla sua lunghezza sopra la pietra, ottiene una prima e grossolana spianautura di ogni superficie; in questo primo procedimento la lama rimane immersa costantemente in un recipiente pieno d'acqua per lubrificarsi. Data la grande ruvidità di questa pietra, sulla lama si producono graffi e segni, ma non si evidenzia nessuna caratteristica intrinseca dell'acciaio.

2) La seconda pietra utilizzata si chiama binsui, e possiede una grana di 280-300 grit. Viene utilizzata per rimuovere i segni lasciati dall'arato. La sua caratteristica è quella di fare risaltare i contorni e le linee della lama strofinandola sulla pietra perpendicolarmente alla sua lunghezza, ma con un leggero angolo in modo da evidenziare i segni lasciati dalla pietra precedente. Solo quando tutti i segni perpendicolari dell'arato sono stati eliminati, e solo i segni leggermente in diagonale del binsui sono evidenziati si passa ad una pietra sucessiva.

3) La terza pietra si chiama kaisei, ed ha una grana di 400-600 grit. La lama viene passata sopra di essa diagonalmente con un angolo di 25 gradi per permettere al pulitore di distinguere i nuovi segni da quelli del binsui. Da questo momento la superficie dell'acciaio diventa più liscia, più lucente ed il contorno dell'hamon comincia a diventare visibile. Alla fine della pulitura con kaisei, tutte le superfici della lama hanno una loro geometria propria che non cambierà con le puliture successive.

4) La quarta fase della pulitura di base, implica l'utilizzo di due pietre, che possono essere naturali o artificiali, chiamate chu-nagura con grana 800 gritr e koma-nagura con grana 1200 grit. La lama viene passata su entrambe le pietre nello stesso modo, con delicati colpi oscillanti lungo tutta la sua lunghezza, e solo dal codolo verso la punta. Dopo ogni colpo, la lama viene leggermente ruotata in modo da lavorarla dal taglio fino alla sua linea mediana di demarcazione. Quando tuta la sezione è stata pulita si passa ad una successiva procedendo nello stesso modo. Quando i segni in diagonale del kaisei sono stati rimossi viene utilizzata la koma-nagura, a grana più fine della precedente che produce un leggero cambiamento, ma non strutturale, dell'acciaio: a questo punto della pulitura l'hamon diventa visibile.

5) Questo è lo stadio finale della pulitura di base in cui vengono utilizzate esclusivamente pietre naturali chiamate uchi-gumori. Ne esistono di due tipi ed entrambi hanno una grana di 3000 o più grit; la lama viene strofinata per tutta la sua lunghezza sulle pietre tenuta perfettamente piatta La prima delle due pietre si chiama uchi-gumori-ha-to, e viene utilizzata per tutte le superfici della lama fino alla scomparsa dei segni lasciati dalle pietre nagura. La seconda è chiamata uchi-gumori-ji-to e viene utilizzata solo per il filo e sulle parti che recano segni di jiada lungo la lama appena al di sotto dell'hamon. Il retro e le linee di demarcazione del filo, non necessitano di ulteriore pulizia perchè verranno successivamente brunite.

Shiagetogi o lucidatura finale della lama

Nella fase della pulizia finale della lama, il lucidatore utilizza materiali abrasivi sempre più fini: le pietre impiegate in questo ultimo livello sono sotto forma di finissimi foglietti di carta, che il pulitore maneggia con il pollice sfregandoli sulla superfice della lama che viene tenuta ferma. Lo splendido disegno dell'hamon, caratteristico di ogni lama, e la fine trama dell'acciaio vengono messi in risalto e costituiscono la caratteristica propria ed intrinseca della lama stessa. Anche questa fase finale della pulitura si caratterizza attraverso vari passaggi:

Hazuya
Questa è una pietra molto fine ed è costituita da pezzetti di uchigumori dello spessore di circa 0.6-0.8 mm mescolata a sabbia; la hazuya così ottenuta é un fogliettino dello spessore di circa 0.15 mm. Un lato del foglietto viene rivestito con della lacca su cui il pulitore stende un un foglio di carta porosa e su cui successivamente applica un altro strato di lacca. La carta porosa utilizzata era stata in precedenza impreganata di un'essenza di albero di caco che favorisce la formazione di una superficie molto dura, indispensabile per supportare la hazuya. Quando la lacca é diventata secca la hazuya viene ulteriormente schiacciata e tagliata in pezzettini di circa 1.5-2.5 cm. Prima di essere utilizzata, a questa "pietra, o carta abrasiva " vengono controllati e rifiniti i bordi affinchè essi siano lisci e sottili, e quindi il pulitore miscela una pasta lubrificante ottenuta dallo sfregamento di due pietra uchigumori una sull'altra. Una piccola quantità di questa pasta unita ad acqua viene posta sulla sezione di lama da pulire, viene aggiunto in seguito del carbonatao di sodio per rendere alcalina l'acqua in modo da prevenire la formazione di ruggine. La crta abrasiva viene poi strofinata sulla sezione della lama in senso longitudinale con leggeri movimenti avanti-indietro. La hazuya rimuove tutti i segni lasciati dall'achigumori facendo assumere alla lama un aspetto ed un colore brunastro, su cui non si dovrebbero evidenziare difetti sull'hamon e sull'acciaio la cui superfice deve risultare liscia ed uniforme.


Jizuya
Pur avendo una preparazione identica (lacca, carta porosa ecc,) questa nuova carta abrasiva è leggermente più dura e più fine della precedente. Prima del suo utilizzo, la jizuya viene piegata deverse volte in senso orizzontale e vertcale, in modo da creare una sorta di disegno a scacchiera sulla sua superficie. Queste ripiegature incrementano la superficie coprente che essa ottiene in relazione alla sezione della lama che deve essere pulita.

Nugui
Il passaggio finale della pulitura consiste nell'applicazione di nugui, che altro non è che una sospensione di ossido di ferro in olio vegetale. Quando l'acciaio viene scaldato fino al colore rosso vivo e giallo durante la forgiatura, sulla sua superficie si forma una sottile pellicola di ossido di ferro che viene rimossa sotto forma di polvere, durante la martellatura, e raccolta per essere utilizzata in seguito proprio durante il processo di pulitura. Questa polvere viene sospesa in olio vegetale e filtrata, affinchè le particelle più grosse di polvere di ferro che potrebbero danneggiare l'acciaio della lama, vengano eliminate. Questa miscela viene applicata direttamente sulla sezione di lama da pulire e strofinata delicatamente con una pezza di cotone. La nugui viene distesa su tutta la lama per tre o quatto volte senza interessare però l'area della punta. L'azione detergente di questo tipo di pietra non è essenziale; il suo principale effetto è cosmetico rendendo l'acciaio più scuro e contemporaneamente mettendo in risalto tutte le sue caratteristiche intrinseche. Il pulitore deve fare attenzione, perchè l'utilizzo di troppo nugui renderebbe l'acciaio nero.

Pulitura della punta
Come precedentemente detto, durante la pulitura di base, anche la zona della punta della lama viene strofinata sulle pietre abrasive perpendicolarmente alla sua lunghezza con un angolo variabile a secondo della pietra utilizzata. Anche durante i tre passaggi della pulitura finale, questa zona, che convenzionalmente rimane esclusa dal resto della lama tramite una linea che corre lungo la sua dorsale, non viene toccata. Questa linea, chiamata yakote, attualmente può essere ottenuta dal fabbro durante la martellatura e la determinazione della forma, oppure in lame antiche può essere semplicemente una demarcazione ottica ottenuta dopo la pulitura. Quando non esiste una yakote chiara, il pulitore fin dai primi livelli della pulitura ne crea una artificialmente proteggendo il corpo della lama già pulito con una pezza di cotone. La pulitura di questa zona avviene strofinando la punta su un parallelepipedo di legno tagliato longitidinalmente diverse volte che assomiglia vagamente ad una specie di ammortizzatore sulla cui sommità è posta una pietra hazuya.

 

Disegno per la pulitura della punta
L'ultimo passaggio che termina il processo di pulitura e lucidatura è la satinatura dell'acciaio, che interessando la zona del mune, il retro della lama, e lo shinogiji, la superficie tra il mune e la linea dorsale, crea un contrasto decorativo tra queste zone ed il resto. La tecnica base della satinatura è abbastanza semplice: per prima cosa vengono rimosse tutte le tracce di olio e di sporco, e la zona da satinare viene impolverata da una sottilissima polvere lubrificante ottenuta da secrezioni cerose di un insetto simile alla cicala. Tenendo una specie di ago di acciaio in mano come fosse una matita, il pulitore lo passa velocemente sulla zona interessata fino ad ottenere una superficie simile ad uno specchio, e per proteggere il resto della lama da eventuali incisioni involontarie, viene applicaa una specie di maschera in bambu. Alla fine di tutti i processi fino ad ora descritti, che possono durare dai 10 ai 14 gorni di lavoro, il risultato finale è una lama pulita con tutte le linee caratteristiche ben definite, un acciaio con un colore e con una tessitura unica, un hamon ben visibile ed una punta chiara e lucente; la sommatoria di tutti questi elementi danno alla lama una sua personalità ed un carattere che rispecchiano fondamentalmente la personalitèà, il carattere, e soprattutto il ki delle persone che hanno partecipato alla sua realizzazione.

 

Valutazione della lama

Il valore di una lama antica, dipende unicamente dalla sua provenienza. Il compito degli esperti, é quello di determinare se una lama é firmata, se la firma é autentica o contraffatta, se una lama é antica ed é appropriatamente conservata e lucidata, in quali condizioni di stato si trova. Un esperto preparato ed aggiornato può senza fatica determinare in quale epoca la lama é stata costruita, lo stile utilizzato nella costruzione, la parte del Giappone dalla quale proviene la lama, la Scuola di origine, ed in alcuni casi l'identità del fabbro che l'ha forgiata. Alla fine della valutazione, verrà stilato una specie di "pedigree" della lama; se esso risponderà ai requisiti richiesti, l'esperto potrà rilasciare al suo proprietario un certificato di autenticità. I maggiori requisiti visivi che contano nel rilascio di tale certificato sono: la forma, l'hamon,la qualità dell'acciaio, la firma ed il codolo, la prova della lama.

 

La forma

Le caratteristiche fondamentali che danno alla spada la prerogativa di arma sono, la forma e la sua curvatura, l'unicità del suo filo tagliente. Anche se ogni singola spada è unica, dal momento che viene costruita a mano partendo da un singolo blocco di acciaio, la sua forma complessiva chiamata sugata, può dare informazioni utili riguardo il periodo di costruzione e riguardo la Scuola a cui apparteneva il fabbro che l'ha forgiata. Una considerazione importante riguarda la maneggevolezza della spada: non deve essere poco maneggevole, bensì ben bilanciata e essere impugnata comodamente.

 

Gli aspetti fondamentali da considerare nella forma di una lama sono:


- la lunghezza


- le dimensioni della punta


- dimensioni e forma del codolo


- lo spessore


- la larghezza


- il grado di assottigliamento dalla base della lama alla punta


- il grado di curvatura

Anche quando ciascuna di queste caratteristiche, è espressione tipica di una certa Scuola e di un certo periodo storico, il fabbro ha una notevole autonomia nell'ideare e disegnare la sua spada. L'impressione complessiva che la lama deve esprimere, può variare dalla leggerezza alla vigoria, dall'imponenza alla snellezza, senza comunque tralasciare un'immagine di eleganza; é per questi motivi che esteticamente non esistono due spade con la stessa forma.

 

Hamon

Il più evidente motivo estetico di una lama é l'hamon. Esso rappresenta il disegno e la tessitura sul filo del tagliente ed caratteristico di ogni singola lama. Viene prodotto isolando la lama in un guscio di argilla, scaldandola ad alte temperature, e raffreddandola repentinamente in acqua. Il motivo che compare sulla lama ricalca quasi esattamente il motivo che compare sull'argilla, dal momento che é proprio l'argilla che influenza la velocità di raffreddamento, ed è proprio questa velocità che determina se la struttura austenitica dell'acciaio scaldato si trasforma in martensite o perlite. Molto spesso l'hamon è pulito e sbiancato con delle pietre abrasive chiamate hadori, per farlo meglio risaltare sulla superficie opaca del resto della lama.

Qualità dell'acciaio

La spada giapponese é uno dei pochi oggetti in acciaio in cui la tessitura, la durezza e la composizione propria dell'acciaio sono facilmente visibili, e costituiscono la parte più importante dell'oggetto finito. Agli occhi degli esperti, attraverso il processo di lucidatura, un attento esame dell'acciaio che costituisce la superficie della lama da la sensazione di riflettersi all'interno del corpo della lama stessa. A differenza dell'acciaio prodotto attraverso processi industriali, che tende ad essere brillante ma senza caratteristiche particolari risultando quindi anonimo, quello prodotto dai fabbri durante la forgiature, risulta essere scuro presentando nel contempo una sua struttura propria visibile che viene chiamatajitetsu. Il processo di piegatura e martellatura del ferro, per la produzione di un metallo uniforme da origine ad un disegno particolare sull'acciaio cosi ottenuto chiamato jihada. Come per la forma e per il profilo del tagliente, anche l'aspetto dell'acciaio è otto il controllo artistico del fabbro e può essere associato a particolari Scuole e a ben precisi periodi storici. Il jitetsu in particolare può variare molto da fabbro a fabbro, da periodo a periodo, ed è estremamente importante per l'identificazione e la datazione della lama. E' impensabile però che tutte le lame costruite rispondano ai requisiti fino ad ora descritti; i difetti visibili sulla superficie della lama devono considerarsi errori di forgiatura che possono essere trascurabili o anche gravi, oppure possono rappresentare elementi di superstizione.

 

 

Firma e codolo

 

Non tutte le lame sono firmate, un fabbro con puri principi morali era solito firmare solo le lame che rispondevano a tutti i suoi standard qualitativi. La sua firma era rappresentata da un incisione, mei, sul codolo. Questa incisione poteva rappresentare semplicemente il suo nome, oppure molto spesso poteva contenere informazioni sulla sua provenienza. Altri elementi che possono aiutare nell'identificazione della firma sono, il tipo di cesello impiegato, la profondità dell'incisione e la frequenza dei caratteri (quanti per cm). Il codolo, tang, non veniva mai pulito ne lucidato, quando la lama era finita, un disegno decorativo veniva inserito nel codolo e successivamente veniva apposta la firma. Nel tempo, la ruggine presente sul codolo può diventare un importante indizio sull'età della lama. Il colore della ruggine e la chiarezza delle incisioni sul codolo possono essere determinati nel autenticare una lama, per questa ragione l'incauta pulizia del codolo di una spada antica, può distruggere molto del suo valore.

 

La prova della lama

 

Negli anni in cui il Giappone era perennemente in guerra con se stesso, vigeva un detto secondo il quale si poteva comprare una spada al mattino e utilizzarla nello stesso pomeriggio. Successivamente, durante il periodo Edo, in cui il Giappone attraversò un periodo di pace, non vi furono più molte occasioni per potere testare le qualità delle lame costruite. Una possibilità era rappresentata dall'utilizzo di cadaveri di malviventi, oppure da malviventi vivi: per il test della lama ne venivano utilizzati almeno tre ed il risultato ottenuto poteva venire inciso sul codolo. Il valore della lama era comunque dipendente dall'abilità di taglio della stessa; infatti eventuali difetti derivanti dalla forgiatura erano meglio messi in evidenza quando la lama era sotto stress, e nello stesso tempo potevano dare indicazioni utili ai fabbri per nuove forgiature. In Giappone furono sviluppate diverse forme di tagliente, secondo l'utilizzo che veniva fatto della spada; stretto e acuto quando il nemico utilizzava corazze costruite di pelle, più spesso e ottuso quando il nemico utilizzava corazze di metallo.

 

La via della spada

 

Secondo il bushido, nei periodi di guerra le spade sono lo strumento mediante il quale il pensiero dei samurai si concretizza in azioni. I professionisti della guerra si impegnano quindi a perfezionarle, decorarle e definirne le norme d'uso affinché la loro bellezza esteriore ne rispecchi la nobiltà dell'impiego. La spada simboleggia l'anima stessa del samurai e perciò è un oggetto sacro e prezioso. Solo ai samurai è consentito portare la sciabola lunga (katana) e quella corta (wakasashi). In coppia queste armi sono chiamate daisho.


Le sciabole sono costituite da vari pezzi:

· la lama (TÔ)

· l'impugnatura (TSUKA)

· la guardia (TSUBA)

· il fodero (SAYA)

Le katane vengono nominate diversamente se hanno periodi di forgiatura diversi:

1. Koto, sciabole antiche fabbricate dal 900 al 1530)

2. Shintô, sciabole nuove fabbricate dal 1530 al 1897

3. Shin-shintô, sciabole nuovissime fabbricate dopo il 1867

 

La spada in Giappone è considerata come un Kami e per questo può dare la vita e dare la morte, quindi ha molti poteri soprannaturali.
Gli ideogrammi cinesi chien, per la spada a doppio taglio e tao per la spada ad un taglio costituiscono quasi sicuramente quelli giapponesi di ken e to, che pronunciati insieme indicarono ogni tipo di spada in Giappone. Secondo la leggenda è al tempo dell'imperatore Mommu (697-698) che venne inventata la katana, destinata a diventare l'arma più usata dai guerrieri giapponesi e che nessun altro paese al mondo è mai riuscito a riprodurre. Le prime spade furono forgiate da cinesi e coreani, solo in un secondo tempo, IX secolo, con l'affermarsi della classe dei samurai il Giappone sviluppa una propria tecnologia di lavorazione dell'acciaio temperato.Il fabbro era molto importante per la fabbricazione delle spade, era da lui che l'arma riceveva tutte le caratteristiche importanti e spirituali che ne caratterizzavano l'importanza, non occorreva solamente abilità tecnica del forgiare, ma il fabbro doveva possedere qualità spirituali che infondeva nella spada da lui costruita, non per niente il fabbro era spesso di nobile origine e doveva condurre un'esistenza pacata e dignitosa, quasi religiosa, attenendosi a precise regole comportamentali nel rito della creazione della katana. Ogni famiglia di forgiatori aveva delle tecniche personali che venivano tramandate in generazione in generazione.


I figli dei samurai, invece, ricevevano in eredità, dopo la morte del loro padre, la sua katana, ma la poteva utilizzare solo dopo il quindicesimo anno d'età, i figli dei samurai prima dei quindici anni si potevano riconoscere perché portavano un altro tipo di spada, la mamori-gatana, che era più che altro un talismano che un'arma.


Il samurai non si separava quasi mai dalle sue due spade, solo in occasioni speciali quali visite ed incontri o quando si recava nelle case da te,doveva per forza fare a meno della spada grande (katana), poteva però tenere la spada piccola (wakizashi) detta "la guardia del suo onore".